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Gianfranco Costantini, 6 anni dopo.

Il ricordo di chi lo conobbe
L’anniversario della scomparsa del giovane agente della Polizia Stradale deceduto in servizio.

(da Asaps.it)

È vero che la vita continua? Diremmo proprio di sì. Fin da quella notte lo capimmo, che sarebbe stato così.
Tutte quelle luci, attorno a lui, attorno noi a girovagare in quel lembo di autostrada strappato per qualche ora, il tempo dei rilievi, al traffico infernale della A1.
Già, la A1: prima lettera dell’alfabeto da pronunciare, primo numero da contare. Primo ed ultimo atto della vita del giovane poliziotto, partito da un paesino che resiste orgoglioso al vento incessante del Sannio, dove alla fine è tornato, con la sua divisa impeccabile.
Povero amico perduto in una sera d’estate che sembrava dovergli regalare altro. I genitori che stavano arrivando, la fidanzata che avrebbe rivisto di lì a poco.
Invece arrivammo prima noi, i suoi fratelli di stivale, i suoi maestri per il noviziato che aveva appena cominciato. Tutti sempre impegnati a salvare, a correre, e che impotenti di lui poterono invece raccoglierne solo l’ultimo sguardo.
L’Alfa tutta spenta, tutta rotta, immobile più avanti, con la scritta polizia che rifletteva l’azzurro e il giallo dei lampeggianti.
E poi la brezza che scende dalla Calvana e da Morello, che accarezzava Scandicci e che fischiava sul cavalcavia sopra di noi, pieno di gente accorsa dopo lo schianto.
Sei anni sembrano un alito di quel vento sannita e fiorentino.
La caserma è un’altra, ricostruita sulle ceneri di un dolore che abbiamo provato a scacciare, sullo spettro di un destino che non avremmo mai voluto affrontare, gravati come muli dal carico di un peso che non avremmo mai voluto portare.
Il peso del ricordo, del rimpianto, dell’impotenza e della rabbia. Quando chiudemmo la vecchia casermetta, l’ultima porta ad essere chiusa prima del trasloco fu quella della sua stanza, che oggi è un archivio.
Sarebbe bastato un millesimo di secondo in più o in meno, e forse lo avremmo ancora nei corridoi di Firenze Nord, in quell’eterno avamposto di dolori che si ripetono ogni giorno uguali, dove regna il silenzio del rumore continuo e assordante delle due autostrade che si intrecciano.
Eh già, si intrecciano incessanti, come i destini di chi parte da posti distanti migliaia di chilometri gli uni dagli altri, per darsi appuntamento qui.
Il destino di Gianfranco aveva un appuntamento così, e non vi mancò.

(Fonte  Asaps.it - Lorenzo Borselli -)