Caduto nell'adempimento del Dovere

Imbornone Francesco

Delegato

di Pubblica Sicurezza

Questura di Palermo

Palermo 12 Marzo 1875

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I Caduti che oggi Ricordiamo

La sera dell'11 marzo 1875, in Mezzoiuso (PA), il Delegato di P.S. Francesco Imbornone, unitamente la Guardia di P.S. Gaspare Arancio e ad altro personale dell’Arma dei Reali Carabinieri, stava effettuando un servizio di ricerca dei componenti di una banda di malviventi, nota come “banda Faraci”, quasi del tutto dispersa a seguito dell’attività di repressione e di numerosi arresti effettuati dal predetto Delegato.

In tale frangente, il manipolo si accingeva a perquisire l’abitazione di un sospettato e la Guardia Arancio, l’Appuntato Capobianco dei RR.CC e il Carabiniere Mencarelli salirono sul pianerottolo a bussare per farsi aprire. Non ricevendo alcuna risposta, dopo quasi mezz’ora stavano per desistere dal proposito, allorquando una donna, dietro la porta, urlò che non intendeva aprire a nessuno. Contemporaneamente i tre militari udirono un concitato scalpiccio di passi e l’inequivocabile rumore del caricamento di un fucile a due canne. Ripresero allora a bussare, intimando di aprire ed avvisando i colleghi, quindi riuscirono ad abbattere la porta e ad entrare nella casa. Furono però colpiti da due scariche di pallettoni, che ferirono il Carabiniere Mencarelli al collo e la Guardia Arancio in pieno petto. Quest’ultimo, sorretto dall’app.to Capobianco, riuscì a tornare sul pianerottolo ma, dopo pochi istanti, morì.

Altri militari, immediatamente accorsi, aprirono il fuoco, sparando dentro casa dal vano della porta, rimasta aperta, mentre il Delegato Imbornone, col Brigadiere dei RR.CC., erano appostati sotto una finestra laterale e preclusero quella via di fuga all’ignoto sparatore, che però si fece strada a colpi di rivoltella, ferendo gravemente il Delegato.

Immediatamente il Milite a Cavallo Rao ed il Bersagliere Brancato, armati di moschetto, fecero fuoco in direzione del fuggitivo, che aveva percorso alcuni passi verso il fiume e, colpito alle spalle, stramazzò al suolo.

I rinforzi, accorsi sul luogo per trasportare i feriti in ospedale, perquisirono la casa, senza trovarvi alcuno. Il malvivente ferito era armato del fucile a due canne, di un revolver, di una giberna con 36 cartucce e aveva addosso numerose immagini di santi. Ebbe appena il tempo di qualificarsi, con un filo di voce, per Vittorino Salvatore, detto “Faraci”, capo dell’omonima banda, quindi fu colto dal rantolo della morte e spirò.

Il Delegato Imbornone fu trasportato in ospedale, dove gli venne prontamente curata una bruttissima ferita alla coscia destra, con frattura del terzo superiore del femore, I cui frammenti avevano leso la safena, causando una copiosa ed inarrestabile emorragia interna. Nel corso della notte egli si aggravò ed altri quattro medici, due civili e due militari, diagnosticarono una terribile cancrena, che aveva invaso anche gli inguini e rendeva impossibile l’amputazione dell’arto. Dopo 24 ore, la sera del 12 marzo, anche il Delegato Imbornone cessò di vivere, lasciando la moglie incinta e tre figlie in tenera età.

Con decreto del 3 giugno 1875, S. M. il Re gli conferì la medaglia d'argento al valor militare, mentre alcuni colleghi, su iniziativa di uno di essi, aprirono una sottoscrizione per raccogliere fondi da devolvere alla vedova ed alleviare così le sofferenze e i disagi della famiglia.

 

Fonte: Giornale di Sicilia, 12.03.1875, archivio ritagli stampa della Questura di Palermo

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