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La Redazione di Cadutipolizia è lieta di pubblicare questa preziosissima testimonianza fornita sull’alpinista e allievi guardia di P.S. Vincenzo Cozzolino. Ringraziamo sentitamente il signor Flavio Ghio per tale unica opportunità di completare il ricordo di uno dei più grandi e sconosciuti rocciatori ne verrà onorata la cui memoria, in occasione del quarantennale della sua scomparsa, verrà perpetuata dalla Regione Friuli Venezia Giulia la quale ha prodotto il film "Echi verticali, una storia su Enzo Cozzolino".
La prima del film si terrà a Trieste il 29 maggio 2012 alle ore 20:00 presso il cinema ASriston di via R.Gessi n° 14;
Inoltre il film verrà proiettato il 16 giugno al Rifugio Vazzoler in Civetta -dove sarà ricordato dalla sua sezione, la XXX Ottobre e dagli alpinisti- a Padova il giorno 7 giugno ore 21 cinema Porto Astra e a Milano il 21 giugno a Milano Spazio Oberdan sempre alle 21.

La Redazione


Enzo, l’alpinista che sussurrava alle rocce.


Enzo Cozzolino inizia giovanissimo a dedicarsi all’attività sportiva, cerca il contatto con la natura, pratica la speleologia. Lo fa con il piccolo gruppo del R.E.S.T. (Raggruppamento Escursionisti Speleologi Triestini) del mitico presidente Ambroso che aveva trasformato in sede sociale - loft ante litteram - il suo magazzino-abitazione.

D’estate con gli amici frequenta sulla riviera di Barcola a Trieste, il bagno Topolini. Lì, le prove di coraggio si concretizzano in studiati tuffi in mare. Dall’ultima piattaforma, sopra la strada che serve per distendersi a prendere il sole, Enzo si specializza nel tuffarsi direttamente in mare, saltando dalla ringhiera di ferro.

Va anche in palestra, fa un po’ di attrezzistica, irrobustisce il fisico e si misura, come ricorda il suo compagno di banco del liceo, difendendo chi, di corporatura gracile, viene angariato dai bulletti di turno.

Ama il mare, si dedica al canottaggio, si impegna e vince le prime medaglie, poi lascia. Forse per caso, forse per destino, va con degli amici in Val Rosandra, la valle carsica vicina alla città, ora parco naturale.

Bruciando le tappe, lo portano ad arrampicare sulla via a quel tempo considerata più difficile, la famosa Junior, lungo il Crinale che porta al cippo Comici. La sua preparazione gli permette di deludere chi pregustava l’immancabile volo del principiante o vedere un ginocchio posarsi maldestramente sulla roccia, e brindare con il famoso “litro” (di vino), tributo da versare in queste occasioni. Lui sale quasi in scioltezza, tutti rimangono senza parole perché riesce con facilità dove altri durano fatica.

Gino, il fratello gemello ricorda una particolare espressione nel volto di Enzo: “Dai suoi sguardi pensierosi si capiva che stava cercando qualcosa, che aveva in mente qualcosa, che sicuramente avrebbe fatto qualcosa…”

Io mi sono imbattuto in Enzo per la prima volta in “Napoleonica” la palestra di roccia sul ciglione carsico sopra Trieste.

Arrampicava da solo, in modo inimitabile sia a pochi centimetri da terra sia in alto, quasi non avvertisse l’altezza.

Quando si fermò, per rompere il ghiaccio, m’inventai qualcosa:

“Lei arrampica molto bene ma le cose che fa non sono alla mia portata. C’è forse qualche altra parete, da dove poter iniziare?”

Mi mostrò dei passaggi. Per sgrezzarmi, disse. Poi indicò un passaggio particolare.

Saliva per pochi metri lungo un paretone, intorpidito d’ombra, con un’infinita serie di concavità regolari, che davano al calcare, l’aspetto assurdo di un calmo strapiombante mare pietrificato.

“ Questo passaggio, disse, l’ho aperto da poco. E’ estremo anzichenò. ”

Oggigiorno questi passaggi sono chiamati boulder. Non mi sarebbe dispiaciuto se avessero conservato il nome originale che gli fu dato da Enzo Cozzolino in quel lontano 1968: “Anzi-che-no”.

Enzo praticava sempre un principio, di cui non parlava quasi mai.

Ripetere le cose fatte dagli altri può dare soddisfazione, ma non porta mai più lontano.

Era talmente radicale nel seguire questo principio da applicarlo anche a se stesso.

Seguendo un ideale, ogni sua concretizzazione al confronto sembra meno bella.

Per andare oltre bisogna raddoppiare la posta, cambiare strategie o il sentiero s’interrompe e la passione inaridisce. La sua attività alpinistica è lì a dimostrarlo.

Spiro Dalla Porta Xydias analizza l’attività che Enzo andava riportando sul libro ascensioni della XXX Ottobre:

“Studiando l’elenco delle sue salite, conoscendo la sua tendenza programmatica da un lato e i suoi fini alpinistici dall’altro, ho creduto di poter cogliere tre momenti diversi. Il primo dedicato particolarmente alle grandi ripetizioni: collaudare le proprie capacità sugli itinerari di roccia più ardui. Il secondo caratterizzato invece dall’effettuazione in solitaria di vie estremamente difficili; e anche queste mi sembra non siano state fine a se stesse, ma gli siano servite a perfezionare il proprio stile e la propria tecnica, portandolo a toccare limiti mai raggiunti nell’arrampicata pura. Il terzo, infine, è quello conclusivo, in cui affronta e risolve grandi problemi alpinistici ancora insoluti. “

Spiro Dalla Porta Xydias, Arriva la Trenta, 2011, Lindt, Trieste.


 

Si può trovare questo rinnovarsi condensato nel “suo” alpinismo invernale: Il primo inverno, lo spigolo S.O. della Busazza con due bivacchi in parete, il secondo, due salite invernali fatte una di seguito all’altra (Torre Fanis - via Castiglioni e Tofana di Rozes - via della Julia), il terzo inverno, la solitaria alla via Pisoni-Stenico Torre del Lago, l’ultimo inverno, la via nuova sulla Cima Scotoni.

A Trieste la sua leadership è indiscussa. Chi si lega alla sua corda, ha la sensazione che Enzo possieda le chiavi per entrare in uno spazio che la montagna vorrebbe nascondere.

Per chi non ha la fortuna di condividere questa esperienza allora c’è la possibilità di andare a casa sua a parlare di montagna.

Per noi, entrare nella sua stanza, era come avere accesso al punto zero del discorso alpinistico. Il più vicino all’origine del senso, momento in cui avremmo conosciuto qualcosa a cui non riuscivamo ad arrivare da soli.

Lontano dai banchi, fuori dall’esperienza comune; molto più di quello che avremmo conosciuto nelle sedi del CAI, o nel rifugio della Val Rosandra o sui muriccioli della Napoleonica.

Quella stanza era una fumeria di alpinismo, il cratere di un vulcano, dove il profondo rumore di future eruzioni.

La stanza era stretta, un letto, un piccolo tavolo, un armadio ad anta scorrevole. Il rumore che faceva quando si apriva sembrava l’applauso di un pubblico seduto in un invisibile teatro. Lentamente comparivano sul boccascena i suoi attrezzi alpinistici: le corde, i moschettoni, gli scarponi, gli zaini.

Come un negromante Enzo, con le sue parole, ridava vita quegli oggetti inanimati.

Nella stanza la musica dei Pink Floyd, di Emerson, Like and Palmer, dei Jethro Tull.

Il tempo scorreva veloce perché profumava di futuro.

Delle sue imprese non sappiamo nulla riguardo alla loro genesi. Le conosciamo quando sono realizzate. Come fosse arrivato a quelle decisioni, come avesse coltivato quei desideri, ci resta nascosto.

Una sera, nella sede della XXX Ottobre la sua sezione, dice agli amici semplicemente “Da questo momento non arrampicherò più con nessuno di voi, ho deciso di andare da solo”. E’ un fulmine a ciel sereno.


 

Emilio Comici oltre alla prima ascensione della Nord della Cima Grande di Lavaredo, farà anche la prima solitaria: con quel diverso approccio mostra un’altra possibilità. E’ questa la via che interessa a Enzo.

Comici ricorda quell’esperienza solitaria in termini entusiastici:

“E ad un certo momento, mentre stavo in forte spaccata, le mie corde le vidi oscillare liberamente, e in fondo all’abisso scorsi le ghiaie… Mi sentii invadere allora da tale voluttà, quale non avevo mai provato in mia vita!

Difficilmente potrei spiegare quell’ebbrezza, quella gioia di sentirmi completamente solo, su quella spaventosa parete: aver le gambe in forte spaccata, il corpo arcuato, e vedere inabissarsi la corda, poi tutto quel vuoto…”

Emilio Comici: “Alpinismo eroico” pg. 200, 2004, Vivalda, Torino


 

I puntini di sospensione sono un invito ad andare a vedere dove le parole di Comici si erano fermate.

Recuperò molte foto di Emilio Comici in arrampicata; da più di trent’anni, nessun triestino si era mai avventurato, in solitaria su tali difficoltà.

ASCENSIONI SOLITARIE DI ENZO COZZOLINO

Salite di tipo occidentale

Grossglockner: canalone Pallavicini;

Grossglockner: canalone Bergler;

Gran Zebrù: parete nord, via Zangelmi-Brigatti;

Pizzo Palù Occidentale: cresta Zippert, salita e discesa:

Presanella: salita per la via Detassis, discesa per la parete nord;

Mont Blanc du Tacul: canalone Gervasutti;

Luykamm: parete nord, via Neruda;

Tour Ronde: parete nord.

Dolomiti

Torre Venezia: via Tissi (VI inf.);

Agner: Spigolo Gilberti (VI);

Catinaccio: via Olimpia (V,VI, A1,A2, AE);


 

Sass Maor: via Solleder (VI inf.);

Cima Canali: Via Buhl (V eVI);

Cima d’Auronzo: via Comici 1°solitaria (V eVI);

Torre del Lago: via Pisoni-Stenico 1°solitaria invernale (VI);

Pala di Socorda: via Barnard 2° solitaria (Ve VI);

Tofana di Roces: via Bonatti (V);

Sasso di Toanella: via Da Damos con variantee Masucci 1°solitaria (V inf.);

Cima Scotoni: via Pisoni (V);

Cima Scotoni: via Costantini (V).

Alpi Giulie

Torre delle Madri dei Camosci:Spigolo Deye (V e VI);

Cima Innominata: via Comici (V).


 

Il giovane Enzo Cozzolino della sezione XXX Ottobre del CAI (Trieste) compie tra il ‘69 e il ’71 un numero eccezionale di ascensioni solitarie su vie di grandissimo impegno. L’elenco nudo e crudo di queste solitarie è più che sufficiente per classificare il valoroso scalatore triestino.

LO SCARPONE” , Notiziario del CAI, 1dicembre 1971

Nel 1970, inizia la stringa delle sue vie nuove.

Non si sentivano più i nomi di vie famose perché lui era pronto ad aprirne di nuove.

Sulla Cima della Scala nelle Giulie, sullo Spizzetto d’Agner, sui due Spiz d’Agner: Nord e Sud, sulla Punta Chiggiato in Antelao, sulla Pala di San Martino.

La maggior parte sono vie estreme, in grandi ambienti alpini.

E mentre noi ripetevamo vie di altri, lui continuava a farne di nuove. Poi cambia il modo di scegliere i problemi: non più pareti ignorate perché satelliti di cime più importanti o con avvicinamenti lunghi e disagevoli, o con versanti negletti. Ora guarda a problemi già noti e già tentati, ma rimasti insoluti.

Come il Gran Diedro del Mangart di Coritenza, nelle Alpi Giulie, la parete Nord della Terza Sorella in Sorapis.

Poi la parete Ovest della Busazza in Civetta e la domenica successiva un’altra via nuova sul il Piz Popena nel gruppo del Cristallo, come se aprire vie fosse la cosa più semplice della terra.

Nell’ inverno del 1972 arriva finalmente il mio turno di legarmi alla sua corda.

A gennaio partiamo per il passo Falzarego. La sera carichiamo gli zaini sulla funivia del Lagazuoi.

Per essere veloci e leggeri, portiamo con noi, pochi chiodi, qualche cordino, dei cunei di legno, nessun “Instrument” moderno, il fornello a gas e pochi viveri. Per tutte queste scarsità decidiamo di chiamare la via, “via dei Fachiri”.

All’alba del 14 con gli sci arriviamo all’attacco.

Guardiamo la parete sopra di noi. La vista ne è rapita.

Sembra una condensazione di polveri celesti illuminate dal sole nascente.

Arrivati alla prima grande cengia, con qualche lunghezza ci portiamo sotto strapiombi gialli; qui Enzo s’inventa una traversata verso il centro della parete. E’ alquanto liscio. La sporgenza, dove poggiamo i piedi diventa una piccola cornice, poi c’è solo muro.

E su questa muraglia, sparse qua e là, sottili scaglie di roccia appoggiate alla parete come carte da gioco messe lì a formare un precario castello. Enzo cerca quella precarietà, quell’inquietudine.

Comincia ad attraversare, mi guarda, sorride e prosegue deciso. Sono solo nel terrazzino; in mano sento il leggero palpitare delle corde che non toccano la parete. Dopo questa traversata sarà difficile tornare indietro.

E’ come se la montagna sotto di noi si fosse sollevata dalle ghiaie e si alzasse libera nell’azzurro, portando con sé due naufraghi arrampicati a un’enorme vela colorata di giallo e di nero.

Meglio non pensarci.

Più in alto mi sembra che il vuoto si mangi perfino la roccia. Enzo, sale per diversi metri, supera un piccolo strapiombo.

Sopra di noi ci sono delle lingue di roccia rossastra compatta che a destra cambia colore, diventa scura, nera. La forza di quei colori è inquietante.

Mi resta ancora graffiato nella memoria, quel suo silenzioso avanzare con le corde a far da festone, poi battere un chiodo, obliquare a destra per una ventina di metri fino alla colata di rocce nere, riprendere la verticale e scomparire.

Più sopra, su un piccolo terrazzino bivacchiamo. Le difficoltà più grandi sotto di noi. Il giorno successivo alle 13 arriviamo in cima. La Cima, una sosta, la più meritata per questa salita. Poi scendiamo, più in alto possono salire solo i pensieri.

Dopo qualche mese la sua domanda per la Scuola Alpina di Moena è accolta. Un anno in montagna. La montagna, la sua nuova casa. Se Enzo ha fatto tutto questo abitando lontano dai monti, cosa succederà ora che arrivare all’attacco di una via sarà come andare a pigliare le sigarette sotto casa?

Dopo pochi giorni ritorna a Trieste per riprendere il maggiolino Blu e l’attrezzatura alpinistica. Ci salutiamo.

Il quattro di giugno fa la sua prima salita, nelle due settimane successive ne farà altre otto.

Anch’io parto militare.

Arriva un telegramma:

“Caduto Enzo. Torre di Babele. Funerali domani.”

Sono impreparato a vivere questa verità.

Chiedo una licenza, mi viene concessa. Mi stupisce come degli estranei possano capire.

Enzo non può essere esposto.

Vedo volti costretti a stare davanti all’inesprimibile, il feretro, il tricolore, il cappello da allievo di P.S.

Ultimo sole, ultimo tutto. Poi arriva veramente la fine.

Il giorno successivo riparto.

In treno, ripenso alla frase:

“Andato avanti” e m’inquieta ascoltarla.

Come può andare avanti, chi avanti lo è sempre stato?