Redazione
Chi Siamo
Collabora
Contatti
Articoli
Rubriche
Links
Guestbook
Forum
Cerca

Homepage

ORDINE PUBBLICO

(gli scontri di Piazza Santa Croce in Gerusalemme - Roma,  1° Maggio 1891)

di Fabrizio Gregorutti

  

Si chiamava Carmelo Raco. Aveva 28 anni ed era nato a Molochio, un paese dell’attuale provincia di Reggio Calabria, ed era una guardia di città in servizio presso la Questura di Roma. Le cronache del tempo raccontano di lui solo che era in Polizia da pochi anni, dopo avere prestato servizio militare in un reggimento di Fanteria del Regio Esercito. Nessun’altra notizia su di lui, una comparsa sul palcoscenico della Storia.

Sulla sua vita non posso quindi dirti molto. Posso raccontarti però della sua morte e di come la prima Festa del Lavoro in Italia termina in un massacro, il 1° Maggio 1891.

Eppure all’inizio le premesse sembrano buone.

Il ministro dell’Interno Giovanni Nicotera e i promotori della festa si sono incontrati giorni prima perché il 1° Maggio 1891 a Roma trascorra senza incidenti.

Giovanni Nicotera è il classico politico italiano buono per tutte le stagioni. Inizia la carriera come mazziniano (ha partecipato all’eroica e sventata spedizione di Sapri, costata la vita al patriota Carlo Pisacane, dove si è guadagnato una gloriosa ferita e la patente di patriota tutto d’un pezzo) e la prosegue come repubblicano di sinistra, garibaldino e infine monarchico. Nel 1876 è diventato Ministro dell’Interno, ma l’ex patriota di sinistra che ha sofferto la prigione e che, come esponente della propria area politica ha promesso di moralizzare la vita pubblica, una volta al potere dà il peggio di sè. Dirige intere clientele politiche acchiappa voti che agiscono ai limiti (e spesso li superano) della decenza e della legalità, ha dalla sua un branco di giornalisti servili che comanda a bacchetta e quel che è peggio ha creato una specie di servizio segreto che controlla tutto e tutti. Nel 1877 un ridicolo incidente ha fatto scoprire le sue sistematiche violazioni del segreto telegrafico. In un altro Paese non se lo sarebbero ripreso nemmeno fotografato, in Italia si è fatto solo un po’ di purgatorio, dopodiché è ritornato in auge più potente che pria. Un interlocutore indubbiamente affidabile, nulla da dire.

Gli accordi tra governo e associazioni concordano per un comizio da tenersi in Piazza Santa Croce in Gerusalemme, dove verrà installato un palco sul quale chiunque lo desideri potrà parlare alla folla. I manifestanti, invece, giungeranno nella piazza senza formare cortei ed evitando il Corso (oggi via del Corso) e via Nazionale “….i quali però potranno essere attraversati per brevità dell’itinerario medesimo.”* (ah, meraviglioso compromesso italico!) e al termine del comizio i presenti dovranno ritornare nelle loro sedi, senza formare gruppi o meglio “evitando qualsiasi agglomerazione di Sodalizi”*.

Tutto a posto, quindi?

Sembra di sì.

Nonostante i ministeri e gli industriali minaccino di gravi sanzioni o di licenziamento gli impiegati e gli operai che parteciperanno alla festa e i giornali conservatori lancino esortazioni quasi liriche ai lavoratori perché rimangano in fabbrica e all’ingresso di banche e ministeri vengano piazzate  sentinelle con le baionette innestata, che pattuglie di carabinieri e guardie di p.s. perlustrino la Capitale senza sosta e la guarnigione dell’esercito venga consegnata nelle caserme, la situazione a Roma è tranquilla. Dopotutto l’obiettivo del comitato organizzatore dovrebbe essere quello di garantire la più ampia libertà di parola alla festa, una prova di democrazia del movimento operaio. Quello del governo invece dovrebbe essere quello di evitare scontri e soprattutto le pesanti ricadute politiche.

Il comizio in Piazza Santa Croce inizia regolarmente nel primo pomeriggio.

I primi quattro oratori fanno dei discorsi piuttosto retorici ( “il nostro sangue sarà seme di una generazione novella”* declama ispirato uno di loro )  ma in pratica molto vaghi anche quando un altro dei convenuti proclama con accenti ispirati “Bisogna agire! Agire!”* raccogliendo una messe d’applausi da un folto gruppo di spettatori ai piedi del palco.

Ed è in loro che qualcuno degli organizzatori nota qualcosa di strano, che va al di là dell’entusiasmo e dell’allegria del resto della folla in quel folto gruppo sotto alla tribuna che sottolinea con urla di giubilo gli incitamenti alla rivoluzione pronunciati dagli oratori più incoscienti che eversivi. Dalle cronache dell’epoca è chiaro che non sono i comizianti a porre le basi per ciò che accadrà, ma quello che viene chiamato il “solito gruppo” sotto al palco, che pian piano “cavalca” gli eventi.

Lo comprende uno degli oratori. Si chiama Federico Morchini, è un operaio. Dal podio grida alla folla un avvertimento che, se ascoltato, potrebbe evitare il disastro “Compagni! State attenti che qui ci sono dei sobillatori! Non applaudite a chi vi invita a spargere sangue!”*

Ma dal “solito gruppo” arriva un urlo che gli gela il sangue “Sì! Vogliamo fare una prova!”*

Morchini cerca di continuare il proprio intervento, ma il “solito gruppo” glielo impedisce con fischi ed urla. Morchini  discute, anzi no, litiga con i deputati, gli intellettuali, i borghesi che si sono posti alla guida del comitato dei lavoratori. Cerca di convincerli della necessità di isolare il “solito gruppo” e di riportare la manifestazione alla sua vera essenza, di normale comizio politico acceso e duro ma privo di inutili velleità.

Non lo ascoltano, anzi lo allontanano e forse deridono quello zoticone di operaio e le sue assurde fisime. Morchini abbandona sconsolato il palco, non prima di lanciare per tre volte alla folla un inquietante grido di avvertimento “Vi è una trama!”*.

Ora che il rompiballe se ne è andato, è il turno di un altro oratore che però presto lascia il passo ad una leggenda.

A salire sul palco è Amilcare Cipriani, uno dei padri spirituali del socialismo italiano.

Laziale cresciuto in Romagna, ne ha respirato l’aria anticlericale ed antimonarchica, come rivoluzionario possiede un curriculum di prim’ordine.

A 15 anni combatte durante la II Guerra d’Indipendenza nell’esercito piemontese per poi disertare ed unirsi ai Mille. Rientra nell’esercito ora italiano ma diserta ancora per unirsi a Garibaldi in Aspromonte e sfugge per un soffio alla fucilazione quando la spedizione fallisce. Scappa all’estero. In Grecia si batte con i repubblicani contro i monarchici e poi con i ribelli cretesi contro i turchi. Finisce addirittura in Sudan e poi al Cairo, da dove è costretto a fuggire dopo avere ammazzato in una rissa un connazionale e poi i due poliziotti egiziani che cercano di arrestarlo. Nel 1871 è a Parigi, durante la rivolta della Comune contro la Terza Repubblica francese. Arrestato sfugge al plotone d’esecuzione, ma non alla deportazione nell’isola della Nuova Caledonia, nel Pacifico, dove sconta dieci anni prima di venire amnistiato.

Ritorna in Italia e, tra alti e bassi (tra cui circa quattro anni in galera) diventa uno dei leader del nascente movimento socialista, amato anche perché non è un rivoluzionario da circolo intellettuale ma un uomo del popolo che le “canta chiare” con frasi fiammeggianti e comprensibili che entusiasmano il popolino e provocano il panico ai ricchi, altro che le incomprensibili tirate dei borghesi ai vertici del movimento. Indro Montanelli farà di Cipriani un ritratto caustico  “Il suo passato, la sua barba da profeta, il suo cappello a larghe falde, la sua scombiccherata ma gladiatoria eloquenza, facevano di lui un mattatore irresistibile. Predicava che non c’era bisogno d'idee, perché in realtà lui non ne aveva nessuna”. La combinazione peggiore, in un’atmosfera incandescente come quella di Piazza Santa Croce e che contribuirà al disastro.

Quando Cipriani inizia a parlare, la gente lo ascolta rapita. Inneggia alla rivoluzione, condanna “i ventri pasciuti” che comandano, dice che se i poveri non verranno ascoltati la ribellione sarà inevitabile, ma nonostante i toni a tratti mistici a tratti minacciosi non è una dichiarazione di guerra al Potere, ma un avvertimento ai potenti perché la situazione cambi prima che sia troppo tardi.

Quando termina viene salutato da un’autentica ovazione da stadio.

L’atmosfera è incandescente, quando sul palco sale un giovane “vestito di nero, con cappellaccio nero”*. Si presenta dicendo “Sono un anarchico socialista”*.

Il giorno dopo le cronache lo identificheranno per Venerio Landi, da Ferrara, in realtà si tratta dell’aullese Galileo Palla, 26 anni vissuti avventurosamente tra galera, evasioni, impegno politico ed esilio. E’ uno dei fondatori del movimento anarchico italiano.

Arringa la folla: “Non abbiamo bisogno di deputati e di consiglieri comunali che ci guidino! Non abbiamo bisogno di chiacchiere, ma di fatti! Bisogna cominciare oggi o domani!”*

E sotto al palco, il “solito gruppo” acclama entusiasta “Sì! Oggi! Adesso!”*

Palla è inarrestabile, un fiume in piena. Indica lo schieramento delle forze dell’ordine e dei militari sotto il palco e grida “Ebbene, eccoli là i nostri cosiddetti fratelli! Se volete cominciare a provare le nostre forze contro quelli che ci circondano sono qui pronto!”*

Sul podio Cipriani e gli altri partecipanti al comizio si guardano preoccupati. I loro interventi, per quanto duri nell’avversione al governo ed alla Monarchia e pieni di frasi a tratti incendiarie, sono diretti a presentare compattamente l’opposizione all’opinione pubblica, non certo a provocare uno scontro di piazza in cui sarà il movimento a perdere.

La folla invece va in delirio. Urla a Palla che sì, sono con lui, che sì, lo seguiranno e allora il capopopolo lancia un grido di battaglia “DUNQUE ANDIAMO!”* fa per gettarsi giù nella mischia, alla testa dei suoi prodi, ma viene trattenuto dagli altri oratori, che cercano di impedire il disastro paventato dall’operaio Morchini.

E’ inutile.

La frana sta ormai precipitando verso valle.

Il “solito gruppo” avanza verso militari e forze dell’ordine.

Il primo bersaglio sono le otto guardie di città, in servizio d’ordine sotto al palco, tra le quali la guardia Carmelo Raco. Gli agenti estraggono le daghe e si preparano allo scontro.

Nella piazza i manifestanti che sono intervenuti solo per partecipare alla loro festa cominciano ad andarsene. Amilcare Cipriani si sbraccia furiosamente urlando a tutti di calmarsi, quindi scende dal podio e corre verso i carabinieri in servizio. Più tardi, intervistato dai giornalisti, dirà che voleva avvertire i militari di non dare importanza all’ultimo oratore. E’ vero, ma è troppo tardi.

Il “solito gruppo” ora si lancia verso il cordone di carabinieri schierato nei pressi del palco ed è a questo punto che l’ispettore Marchionni fa dare i rituali squilli di tromba per imporre lo scioglimento della manifestazione quindi ordina alle sue guardie “SGOMBRATE LA PIAZZA!”.

E’ la battaglia.

Uno dei dimostranti strappa la sciabola ad un carabiniere davanti al palco, quindi con la stessa arma assesta al militare un violento colpo di piatto per poi spezzare la lama contro le assi del palco. Un maresciallo dei carabinieri, vistosi circondato dalla folla, spara un colpo di revolver.

Geniale….

La gente che prima si stava allontanando prudentemente per evitare di venire coinvolta, ora scappa in preda al panico, trasformando Piazza Santa Croce in una bolgia. Dalla piazza, ma anche dai tetti e dalle finestre delle case piove di tutto su agenti e militari. Sassi, tegole, addirittura vasi di fiori.

Entrano in scena gli squadroni di cavalleria che accerchiano i dimostranti, i quali non hanno la minima intenzione né di sgombrare né di arrendersi. Cipriani cerca di fermare la carica e gli scontri, ma viene travolto da un cavallo. Si salverà per miracolo.

E’ in questa prima fase degli scontri che Carmelo viene colpito. Allo scoppio degli incidenti è ai piedi del palco ed ha subito l’urto del “solito gruppo”.  Ora interviene per bloccare un manifestante che cerca di scappare dall’accerchiamento della cavalleria. L’uomo si dimena e Carmelo cerca di colpirlo con una piattonata della daga, ma il dimostrante è più veloce e gli sferra una coltellata al fianco destro con tanta forza da squarciargli un polmone.  Carmelo crolla all’indietro, tra le braccia di un giornalista che sta seguendo gli incidenti da vicino.

Una guardia, Francesco Capizzi, accorre in suo aiuto, ma Carmelo ormai sta morendo e il suo assassino  fugge verso il fondo della piazza, dove l’agente lo perde di vista. Carmelo viene caricato su una carrozza di passaggio e portato in ospedale. Probabilmente è già morto prima ancora di lasciare la piazza, dove sta ancora infuriando la battaglia e dove più di qualcuno comincia a perdere la testa, da entrambe le parti.

In Piazza San Giovanni un agente uccide con un colpo di pistola allo stomaco quello che le cronache chiamano “un supposto insorto”. Un carrettiere che non è abbastanza veloce da sottrarsi all’ordine di sgomberare da una barricata in via Manzoni viene ucciso da una fucilata esplosa da un cavalleggero. Il carabiniere Duria viene gravemente ferito da numerose pugnalate sferrate da alcuni dimostranti. E, come se non bastasse, a dimostrazione che la stupidità in Piazza Santa Croce è stata distribuita equamente, un brigadiere dell’Arma spara numerosi colpi di rivoltella verso i dimostranti grazie al Cielo senza colpire nessuno, finchè viene riportato alla ragione da un deputato, Maffi, che gli urla di piantarla, che rischia di ammazzare degli innocenti. Uno zelante delegato di PS, invece, arresta in massa le decine di persone terrorizzate che si sono rifugiate nel portone di un palazzo.

Nel frattempo la guardia Capizzi, che ha assistito all’accoltellamento di Carmelo, insieme ad altri due agenti insegue il feritore del collega attraverso il marasma della piazza. Lo ha visto solo per un attimo, di spalle, ma lo riconosce poco dopo in un giovane che si trova accanto al carretto di un venditore ambulante di limonate che imperturbabilmente continua a servire bevande in mezzo alle cariche di cavalleria, alle schioppettate e ai lanci di sassi e mattoni (ah, meravigliosa, incredibile Italia!). Capizzi si avvicina al giovane e gli urla furibondo “E’ un pezzo che ti cerco, brutto vigliacco!”* e, con la rabbia di un uomo sconvolto dalla morte di un amico gli sferra un violento colpo allo stomaco con la punta della daga.

Il giovane, un noto anarchico, Francesco Moscardi, viene portato in ospedale e qui si trova nella stessa astanteria dove viene operato anche il carabiniere Angelo Duria, gravemente ferito. I chirurghi sentono chiaramente l’arrestato gridare al militare “Assassino, morirai! E dire che non ho potuto ucciderne che uno !” *.

In piazza Santa Croce in Gerusalemme, intanto, la situazione ritorna lentamente alla normalità, ma a che prezzo…. quella che doveva essere la prima Festa del Lavoro in Italia è finita in un massacro. La gestione dell’ordine pubblico è stata fallimentare. I giornali delle opposizioni di sinistra e di destra sbranano le autorità di PS romane, questore in testa, per l’accaduto. In parlamento Nicotera viene massacrato dalle opposizioni e riesce a salvarsi per miracolo. Ma è una vittoria di Pirro. Quando meno di un anno dopo il governo cadrà, sarà la fine della sua carriera politica. Morirà nel 1894.

Cipriani viene arrestato e poco dopo rilasciato e così pure l’anarchico Galileo Palla, l’uomo che ha fatto esplodere la piazza. Nel processo per i fatti di Santa Croce verranno condannati a due anni e otto mesi di carcere, ridotti in appello.

Nel frattempo si è svolto anche  il processo contro l’anarchico Moscardi, accusato dell’omicidio della guardia Carmelo Raco. Moscardi si dichiara innocente, ma il caso sembra risolto in partenza, ma dopo precisa e circostanzata testimonianza dell’agente Capizzi, che ha riconosciuto Moscardi per l’assassinio di Carmelo e lo ha arrestato, gli altri agenti che hanno partecipato all’arresto si contraddicono e rendono in aula delle deposizioni che definire incasinate è ben poco. Anche altri testimoni dei fatti sono piuttosto contraddittori. Alcuni ad esempio ricordano che l’assassino era un giovane di bassa statura mentre Moscardi è in pratica uno spilungone. Anche la stessa frase udita dai medici all’ospedale può essere interpretata in diversi modi (se pur è stata udita bene) ed in ogni caso non basta da sola ad accusare un uomo.  I giudici, con buona pace di chi definisce l’Italia d’allora uno Stato autoritario, assolvono per insufficienza di prove Francesco Moscardi dall’accusa di omicidio, anche se l’anarchico verrà condannato ad una breve condanna per la sua dimostrata partecipazione agli scontri. Ancora oggi, a rileggere le cronache del tempo, la decisione del Tribunale di Roma appare come l’unica che dei giudici imparziali potessero prendere.

 

A distanza di 120 anni da quel tragico 1° Maggio è impossibile dire che cosa abbia trasformato la prima Festa del Lavoro in un uragano di violenza.

La cattiva organizzazione dell’ordine pubblico, certo. Ma c’è stato anche altro, quella che in certi ambienti si chiama ancor oggi una provocazione, come ad esempio fa supporre la presenza del “solito gruppo” ai piedi del palco?

E’ impossibile dirlo, ripeto. Certo il ministro Nicotera non era il tipo capace di rifuggire da simili gesti e “rimettere a posto” il nascente movimento operaio italiano era un gesto politicamente utile in quel momento per gli ambienti più reazionari del governo e degli industriali. Senza dubbio i fatti di Roma servirono per terrorizzare a morte la borghesia e l’aristocrazia contro i “perfidi rossi”. Quindi cosa ci poteva essere di più utile per questo di un bagno di sangue?

 

Ma che dire di Amilcare Cipriani e di Galileo Palla? D’accordo, il primo è tra i padri del socialismo italiano mentre l’altro è considerato ancora oggi uno dei fondatori del movimento anarchico. In teoria quindi uomini nobili ed al di sopra di ogni sospetto, ma ugualmente essi non potevano non prevedere a che cosa avrebbe portato la loro vulcanica eloquenza.

Il comportamento di Cipriani, all’inizio degli scontri è chiaramente quello di chi cerca di impedire la strage imminente, ma siamo certi che tutti gli altri uomini della sinistra furono innocenti quel maledetto 1° Maggio?

Ma c’è di peggio. Nei mesi successivi ai fatti di Roma alcuni anarchici avanzarono dubbi sul comportamento di Palla e sull’opportunità di scatenare gli incidenti, ma Palla venne difeso a spada tratta da Errico Malatesta, il padre dell’anarchia italiana.

Nel 1920 in una biografia di Cipriani si insinuò addirittura che la guardia Carmelo Raco durante gli scontri stesse per uccidere il leader socialista  e che un prode “alto e vigoroso”, avesse pugnalato alle spalle il poliziotto per salvare il padre del socialismo italiano e che poi apparirà in tribunale a rendere omaggio al capo socialista. Da una parte mi sembra una fesseria un po’ troppo da feuilleton, in stile ottocentesco con l’eroe misterioso che giunge in tempo per salvare il buono ed in linea con l’enfasi del resto del libro, dall’altra ha tutta l’aria di una “eroica” copertura delle responsabilità (di parole, di opere e di omissioni) della sinistra in quel tragico pomeriggio.

Forse non solo ai biechi reazionari poteva far comodo far precipitare la situazione in un massacro?

Forse poteva far comodo saggiare la forza della “rabbia popolare” contro i governativi?

Non lo sapremo mai.

Piazza Santa Croce in Gerusalemme e i morti del 1° Maggio 1891 rimangono 120 anni dopo uno dei tanti misteri di questo strano Paese.

 

* frasi tratte dalla cronaca del tempo

Principali fonti e opere consultate : “Corriere della Sera” e “Gazzetta piemontese” del 1 maggio 1891 e successivi, Indro Montanelli “L’Italia dei notabili” ed. Rizzoli; di Giulio Tanin “Cenni biografici della vita di Amilcare Cipriani", Genova 1920

Per la redazione Cadutipolizia: Fabrizio Gregorutti

Commenta nel forum QUI