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Ho un Angelo custode, si chiama Domenico

in memoria di Domenico Prosperi

di Natali Maria Angela


(L'Assistente Domenico Prosperi)

Mi piace pensare che da vent’anni ho un angelo custode. Si chiama Domenico.
Mi piace pensare che da vent’anni mi protegge e mi consiglia e che si diverte quando combino casini, scuotendo la testa e sogghignando , come faceva quando combinavo qualche pasticcio, o qualcosa lo divertiva o quando prendeva in giro qualcuno. 
Sono vent’anni che non vive più,  ucciso mentre faceva il suo dovere di poliziotto , mentre faceva il suo lavoro che amava.
Lui  ciociaro , lui grezzo, lui “de coccio” . Ma immensamente buono . Forse troppo buono, tanto da decidere di rischiare la sua vita per la mia, di decidere che forse la mia vita era più importante della sua.
Nel 1987 arrivai alla Questura di Brescia , giovane agente inesperta. Pochi mesi e mi trovai a lavorare con Domenico, un ufficio importante, il sogno di chi voleva fare il poliziotto, l’investigatore.
La solita fortuna delle donne, diceva qualcuno. E fortunata lo sono stata perché ho conosciuto l’uomo che ha segnato il mio destino e mi ha regalato la vita. Nessuno ci dava troppo credito, a noi donne,  oltre ad essere inesperte avevamo la pecca di essere “femmine” , nessuno ci voleva in pattuglia.
Ufficio posta, consegna atti, segreteria, lavamacchine. Mai alla guida di un auto. La mia era la sezione antirapina, ma lavoro soprattutto  d’ufficio.  I ricordi faticano a ritornare sopiti dal tempo, ma ho iniziato ad uscire con Domenico  di antirapina in borghese.
Sinceramente non ricordo se, all’inizio,  lui ne fosse più o meno contento, ma non aveva fatto mai trapelare se la cosa gli desse fastidio.
Non era uno che si lamentava facilmente. Nonostante i suoi modi grezzi e la sua schiettezza si è sempre comportato gentilmente, sin dal primo giorno. Con santa pazienza  Forse complice il fatto di avere a che fare con una ragazza, della quale ho poi scoperto conoscendolo che ne era  intimidito, per il fatto che io avevo un diploma superiore, che  parlavo e scrivevo bene e che a suo dire era anche bellina con gli occhioni blu. 
Strana la pattuglia. L’assistente alla guida e l’agente “pinguina” a fianco. Ma lui era così. Diceva sempre che se lui stava su una macchina, lui la guidava.  E davvero non l’ho mai visto a cassetta o Capo Pattuglia, anche quando lo era. Lo sapevano tutti e nessuno osava contraddirlo in questo. Perché Domenico era un uomo tranquillo e buono, ma complice la sua stazza e l’essere cresciuto da poliziotto negli anni 70/80 , sapeva incutere timore anche senza alzare un dito.
Solo tre mesi, tanto è durata la nostra conoscenza.  Solo tre mesi  vissuti insieme quasi ogni giorno, sei ore al giorno, seduti  fianco a fianco a ridere e scherzare per passare il tempo, a raccontarci di noi, anche le cose più private, perché poi diventi non solo collega, ma amico, al quale puoi raccontare tutto certo che il tuo segreto sarà ben custodito.
Giornate passate  io a “rubare” il lavoro di poliziotto, lui a “raccontarmi” il lavoro del poliziotto, con tanta pazienza. A scrivere insieme le relazioni,” ma scrivi tu perché io con la macchina da scrivere ci litigo ” .
Non era un uomo da ufficio Domenico. Non era uomo “di cervello” . “Io sono un manovale, ci sono già troppi a pensare” diceva. 
Lui stava bene sulla strada ed era bravo. Vedeva tutto, capiva tutto al volo.  Io “imbranata” non vedevo ne capivo nulla e lui li a dirmi, spiegarmi.  Non voglio dargli troppi meriti solo perché non c’è più, non è un elogio gratuito. Lui era così e basta.  
Aveva i suoi difetti come tutti, ma faccio fatica a ricordarli, forse perché era più evidente la bellezza della sua persona.
Poco tempo abbiamo trascorso insieme, ma da lui ho imparato tante cose, in particolare una di quelle che faceva meglio. Ho imparato a guidare la macchina. A guidare la macchina da poliziotto . Come faceva lui. Prevedendo il pericolo, prevedendo l’ostacolo, prevedendo tutto. “Ti salva la vita sai” mi diceva. E lui, con il suo modo di vedere le cose, di intuire le situazioni,  la vita l’ha salvata ai cinque colleghi con i quali era a “caccia” di due rapinatori omicidi, sulle curve di Polaveno un sabato pomeriggio, proprio guidando la macchina con il suo modo, con il suo intuito.
I ricordi sembrano sbiaditi ma poi non riesci più a smettere di parlare di lui se ti ci metti. Come non ricordare la notte dell’operazione finale dell’antidroga, il camper nei sotterranei della Questura alla ricerca della droga. A smontare pezzo per pezzo il mezzo, naturalmente lui in prima fila, perché lui era il “manovale” . E niente. E ancora pezzi e niente. Prima con impeto e poco riguardo , poi sempre più piano e con grazia, con Domenico che faceva battute sul fatto che era meglio ricordarsi da dove toglievamo le cose perché poi avremmo dovuto ricostruirlo tutto perché la droga non usciva. A fare la conta di quanti soldi avremmo dovuto tirare su per ripagarlo. E nonostante la vaga disperazione che ci prendeva come facevi a non ridere con le battute di quel “ciociaro” , con la sua risata sogghignante, un po’ afona e asmatica ,  come il cane Muttley di Dastardly delle macchine volanti, avete presente, quello di “medaglia medaglia” (mi perdonino i giovani  se non si ritrovano, la giovane agente è ormai cresciuta). 
Solo tre mesi , ma intensi e vissuti.
Come il giorno in cui io, giovane agente inesperta, ho avuto l’onore di avere al mio fianco destro , in auto, un capo pattuglia di nome Domenico. Si perché io ho guidato  una macchina sulla quale Domenico si è seduto da passeggero. Non so se sia stato perché quel giorno era veramente stanco, non se sia stata la scusa per “provare” la mia capacità. So solo che sono rimasta credo per un minuto vicino alla portiera aspettando lo scherzo, per poi sentirmi dire una parolaccia bonaria ed un “svegliati” nei suoi modi grezzi. E da allora ho guidato spesso, e non solo con lui. Perché alla Squadra Mobile si diceva che “se Domenico la fa guidare allora vuol dire che lo sa fare” Perché questo era Domenico. Rispettato e considerato da tutti quelli che lavoravano con lui. E che gli volevano bene. Di un bene semplice e genuino, come il bene che lui dava agli altri. E mi voleva bene Domenico, ero la sua piccola, la sua allieva. Mi voleva bene  tanto da non avermi mai trattato male in tre mesi, mai uno sgarbo , mai una cattiveria , mai una sfuriata , mai un rimprovero. Tranne una volta , quella sola ed unica volta. Quando mi disse “vai dentro a vedere” .
Ed io che gli dicevo  che la nota diceva  che erano fuori. E lui in modo totalmente sgarbato  “ti ho detto di andare a vedere dentro cazzo, fai quello che ti dico cretina”  E  risentita sono entrata , quasi arrabbiata con lui per quella frase. Lui invece, il poliziotto di strada aveva visto tutto, aveva capito tutto. E sapeva che la salvezza stava dentro. E poi i colpi e la consapevolezza, l’uomo con il mitra. E quell’altro  che sta puntando la pistola e pensi che gli sta sparando, fermo o sparo e tu spari perché non vedi Domenico. E poi l’auto che ti arriva addosso  , la fuga, l’uomo a terra, “non è Domenico” e ricominci a respirare , ma poi lo vedi Domenico e non respiri più.
Ed è il tuo unico pensiero , non vedi altro e non pensi altro. La sua mano ti stringe ed i suoi occhi che  ti dicono “stò bene” ma il sangue è dappertutto e poi pensi perché non c’è il traffico e ti guardi intorno e pensi che non c’è traffico nella via più trafficata di Brescia .
E vedi il bastardo che si muove e cerca la pistola. “Scusa Domenico mi serve la mano” e vai e gli gridi addosso tutta la rabbia mentre gli togli la pistola. La corsa all’ospedale, la caccia,  gli atti.
E poi la notizia che forse non è grave, che forse si salva.

Era l’8 febbraio 1988.

Domenico è morto il 19 febbraio del 1988, 11 giorni dopo la rapina, per gravi complicazioni dovute ai colpi subiti.

 Voglio ricordare il suo ultimo giorno di vita, quando all’ospedale, con ancora 4 proiettili in corpo e reduce da una complicata operazione all’addome, faceva il buffone come al solito, accusando noi di farlo ridere e che ci avrebbe fatto pagare il conto del dottore per i punti che si stavano strappando . Lui che non ha voluto ammettere che mi aveva sgarbato per salvarmi la vita, perché sono sicura che avesse paura che mi sentissi in colpa per non aver capito e per i colpi che aveva preso.

Il giorno dopo non c’era più.

Ha lasciato un vuoto in tante persone Domenico.

Solo tre mesi siamo stati colleghi, solo tre mesi siamo stati amici, ma sono vent’anni che ho un angelo custode con me che, come quel giorno, mi protegge, pensando che sarò sempre una svanita pinguina incapace di guidare.

Ciao Domenico.

Natali Maria Angela – Poliziotto

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