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QUARANT’ANNI FA (la strage di Piazza Fontana, 12 Dicembre 1969)
Milano, 12 Dicembre 1969 , ore 16, 36 L’allievo sottufficiale di Pubblica Sicurezza Michele Priore si stringe nel cappotto, cercando di resistere all’umidità del tardo pomeriggio invernale. Guarda gli altri passeggeri che gremiscono l’autobus della Linea N e riconoscendo nelle voci dei suoi compagni di viaggio qualche accento meridionale, si chiede come facciano costoro, nati e cresciuti come lui sotto il magnifico sole del Sud a resistere in mezzo a quella dannata nebbia. Michele si chiede quanto riuscirà a reggere lui, a Milano. D’accordo, è riuscito a trovare un lavoro sicuro che nonostante tutto gli piace, anche se gli orari sono massacranti, la paga non è granchè e Milano è uno dei principali centri della contestazione giovanile, con problemi di ordine pubblico e scontri di piazza quasi ogni giorno (e comunque i suoi amici disoccupati giù al paese farebbero carte false pur di essere al suo posto e guadagnare due lire in più). Ma qui a Milano deve far proprio così freddo? Mentre l’autobus entra in Piazza Fontana, Michele lancia un’occhiata distratta all’edificio sul lato sud della piazza, un bel palazzo del primo Novecento sul quale campeggia una grande insegna: BANCA NAZIONALE DELL’AGRICOLTURA. In quel momento la rotonda dell’agenzia numero 1 della BNA è gremita di clienti che stanno ultimando le ultime operazioni bancarie. La Banca Nazionale dell’Agricoltura è un istituto di credito solido e rinomato nell’ambiente degli allevatori e dei coltivatori, oltre che dei grossisti e dei mediatori del Nord Italia che il venerdì pomeriggio si incontrano intorno al grande tavolo ottagonale nel suo salone, nella “rotonda”, per trattare affari chiusi con una onesta e franca stretta di mano o con una cambiale firmata con la morte nel cuore. E’ lì che si trovano Carlo Gaiani, 57 anni, proprietario della Cascina Solesina, un podere nato quando Milano era chiusa ancora tra le Mura Spagnole e che oggi è circondato dall’aeroporto di Linate e dal rumoroso e trafficato Viale Forlanini. Gerolamo Papetti, 78 anni, padrone della Cascina Ghisolfa di Rho, che si trova in banca insieme al figlio Giocondo per partecipare al mercato, come pure il commerciante Pietro Dendena, 55 anni e il mediatore Giovanni Arnoldi, 42 anni e altri ancora, agricoltori, allevatori, mediatori, commercianti. Ma ci sono anche i fratelli Patrizia ed Enrico Pizzamiglio, di 16 e 10 anni, entrati in banca per pagare una cambiale in scadenza. E altri, tanti altri. C’è tanta gente, quel pomeriggio, nella rotonda della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Ci sono tante vite. Ore 16,37 Per prima giunge la luce. Un improvviso lampo abbagliante che sorge all’improvviso, come un sole malefico, da sotto il grande tavolo della rotonda. Poi il boato. Un rombo sordo, cupo, come il ruggito di una spaventosa belva mitologica, come di una creatura infernale. Una creatura infernale che, in quell’orrendo bagliore, si risveglia all’improvviso e divora tutto intorno a sé. E’ una bomba. E’contenuta all’interno di una cassetta metallica, a sua volta occultata all’interno di una valigetta ed ha un timer programmato per farla esplodere esattamente a quell’ora, nell’unica banca milanese in cui notoriamente le attività continuano al di là del normale orario di chiusura, all’unico scopo di programmare un atroce massacro nella banca piena di clienti ed impiegati. Chi negli anni successivi sosterrà la tesi della strage “non voluta” dovuta al prolungamento dell’orario, sconosciuto agli stragisti, lo farà solo per ignoranza dei fatti o per complicità morale (spero inconsapevole) con gli assassini. La bomba uccide, certo. E’ il suo scoppio a uccidere, a ferire e mutilare, ma quello che fa paura, come descritto con efficacia sconvolgente nell’ottimo e ben documentato libro di Giorgio Boatti “Piazza Fontana” è come l’esplosione trasforma in armi mortali tutto ciò che trova intorno a sè. Per prime sono le schegge d’acciaio della cassetta dove era occultato l’esplosivo, poi i pezzi di marmo e cemento del pavimento e delle pareti e ancora i frantumi di legno del tavolo e delle sedie, trasformati in veri e propri proiettili. E ancora le vetrate della cupola della rotonda che infrante e trasformate in taglientissime lame, crollano sui presenti. E poi gli oggetti di uso comune, come le macchine da scrivere che, scaraventate in avanti dalla potenza devastante della deflagrazione, colpiscono le persone che hanno la sventura di trovarsi sulla loro traiettoria, ferendo, mutilando, tranciando, troncando. Uccidendo. Le vetrine esterne della banca si gonfiano e scoppiano in una miriade di micidiali schegge lucenti che, insieme a frammenti metallici, lignei e umani investe piazza Fontana. L’allievo sottufficiale di P.S. Michele Priore, a bordo dell’autobus che proprio in quell’istante sta transitando nella piazza, guarda sbigottito quello scenario sconvolgente. “Non è vero. Non può essere vero…” A riscuoterlo sono le urla terrorizzate dei passeggeri dell’autobus ed è il Poliziotto che è in lui a prendere il sopravvento. Attraversa di corsa tutto il mezzo “Fatemi passare! Polizia! POLIZIA!!!” quindi arriva dal conducente, pallido e bianco come un lenzuolo. “Polizia! – gli ordina Michele – si fermi e mi faccia scendere!” L’autista dell’ATM è sotto shock. Annuisce freneticamente, ma senza in realtà vedere davvero Michele. Il suo sguardo e la sua mente sono fissi verso quella che sino a sessanta secondi prima era stata l’agenzia numero 1 della Banca Nazionale dell’Agricoltura. “Polizia! POLIZIA!” urla Michele facendosi strada a gomitate e spintoni tra i passeggeri che si accalcano in preda al pani all’uscita dell’autobus quindi, una volta a terra corre verso la banca. Incrocia i primi superstiti mentre entra nell’edificio. Uomini e donne dagli occhi spalancati per il terrore che escono dalla BNA barcollando come zombi. Alcuni di loro perdono sangue, ma non sembrano gravi, forse non…. …poi Michele entra nella rotonda e lo vede. E’ un uomo, con il braccio troncato di netto dall’esplosione. Perde molto sangue. “La prego, non mi lasci qui, non mi faccia morire qui….” implora. Non è vero… non può essere vero… Dietro di lui si trascinano sul pavimento altre tre figure. Una è una donna, dai vestiti bruciati dalla vampata dell’esplosione, ma le altre due… Michele non riesce nemmeno a capire se sono uomini o donne, tanto sono ustionati e sanguinanti. L’aria è satura dell’acre odore dell’esplosivo e del tanfo della carne bruciata e di quello dolciastro del sangue. Il giovane poliziotto deglutisce, ricacciando indietro un conato di vomito. Arriva al centro della rotonda. C’è una donna dinanzi a lui. E’ viva ma, quando la solleva per portarla all’esterno, si accorge che è atrocemente ustionata. Non è vero… non può essere vero… Michele si guarda intorno. Dove pochi minuti prima c’era il tavolo ottagonale delle contrattazioni, c’è sul pavimento uno squarcio profondo ottanta centimetri circondato da frammenti e brandelli di tronchi umani, di arti, di corpi. Da organi interni, da materia cerebrale. Non è vero… non può essere vero…. Michele si riscuote. Qui c’è gente che ha bisogno di lui, non ha il diritto di farsi sopraffare dal panico. Nel groviglio di membra e tronchi senza più corpo, vede agitarsi una mano. Sì, deve essere qualcuno che, sepolto sotto ciò che rimane delle vittime, implora il suo soccorso. Michele accorre verso quella mano, la afferra, la tira con forza e un braccio, che la bomba ha staccato di netto dal corpo, rimane nelle mani del giovane poliziotto. A Michele sfugge una esclamazione di sgomento e di orrore e lascia cadere a terra il braccio che ha appena estratto, come se gli bruciasse dalle mani, quindi barcolla e fa due passi indietro, incapace di distogliere lo sguardo da quell’arto che era stato parte di un uomo. E’ a quel punto che Michele avverte l’istinto di fuggire da lì, di lasciarsi alle spalle quel massacro, quell’ecatombe. Quell’incubo. Ma, come dirà in seguito “E’ stata la pietà, non il coraggio, a farmi restare”. C’è un’altra persona che entra nella banca per soccorrere le vittime, contemporaneamente all’allievo sottufficiale Michele Priore. E’ don Corrado Fioravanti, parroco a Cinisello Balsamo. Ha accompagnato all’istituto di credito un amico che doveva svolgere un’operazione bancaria e, quando la bomba esplode, si trova all’ingresso dell’agenzia. E’ lì quando le vetrine esplodono, quando i due corpi vengono scaraventati sul marciapiede della piazza. Don Corrado, passato il primo istante di shock, entra nella banca devastata, verso la rotonda dalla quale provengono le urla più strazianti ed invocazioni d’aiuto. Come il poliziotto, anche il sacerdote si trova dinanzi all’orrore, alla malvagità dell’uomo. Avanza incredulo tra i feriti e le vittime, pregando Iddio che ciò che vede intorno a sé non sia vero. Raccoglie le ultime parole di un morente e, come Michele, inizia a soccorrere i feriti. Il giorno dopo, i giornali italiani riportano il suo racconto. “ Mi è venuta incontro una ragazza senza un braccio. Con l’altro mi ha tirato la tonaca “Padre, ci aiuti”. Altri mi hanno tirato la veste. Uno grida “non sento più la gamba. Non la sento più” e infatti non aveva più la gamba. Non c’era più. Ma c’era anche chi oltre ad essere rimasto senza una gamba aveva perso anche un braccio. Così, atrocemente mutilata, giaceva a terra una ragazza. E poi altre voci ancora: mi tolga questo tavolo di dosso. Mi tolga questa sedia di dosso. Mi tolga questo peso. Toglievo. Toglievo. Toglievo. E sotto trovavo mutilati. Ustionati. C’era gente che bruciava. Gente che si rotolava a terra in fiamme. Uno scempio. Uno scempio. Ho pregato. Per quelle maschere di sangue. Per quei ventri squarciati. Per quei poveri brandelli di sangue. Ho dato a tutti l’assoluzione, la benedizione di Dio.”
La bomba esplosa alle ore 16,37 del 12 Dicembre 1969
all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di
Piazza Fontana a Milano uccise diciassette persone:
Ma la strage di Piazza Fontana trascinò con sè altre vittime innocenti negli anni successivi, come per una atroce maledizione: Giuseppe “Pino” Pinelli, anarchico, morto all’interno della Questura di Milano il 15 dicembre 1969, durante un interrogatorio da parte della Polizia. Saverio Saltarelli, manifestante di estrema sinistra ucciso in via Larga a Milano il 12 Dicembre 1970 nel corso di violenti scontri con le Forze dell’Ordine, seguiti alle cerimonie per la commemorazione del primo anniversario della strage di Piazza Fontana. Luigi Calabresi, commissario capo di Polizia, ucciso il 17 Maggio 1972 in via Cherubini a Milano, in un attentato compiuto da militanti dell’organizzazione di estrema sinistra “lotta Continua” per vendicare la morte di Pinelli. Gabriella Bortolon, Felicia Bortolazzi, Giuseppe Panzino, passanti, Federico Masarin, guardia di P.S., uccisi il 17 Maggio 1973 dalla granata scagliata dal presunto anarchico Gianfranco Bertoli tra la folla presente ad una cerimonia commemorativa nel primo anniversario della morte del commissario capo Luigi Calabresi. Anche se la Giustizia non ha trionfato, si dice che la verità storica sulla strage di Piazza Fontana è stata raggiunta, inquadrandola in un atroce episodio della Guerra Fredda e dello scontro tra i due blocchi che, sino al 1989, si contendevano il Pianeta. In tutta franchezza non so se andò davvero così. Io ti ho soltanto raccontato una storia minore, immersa nella tragedia che ha cambiato la Storia d’Italia per sempre. Ti invito però a non fermarti a queste mie poche ed insufficienti parole e ad informarti ancora per conto tuo su ciò che accadde allora, a leggere, a commuoverti, a indignarti ed infine a formarti una tua libera convinzione. E’ un debito che, come Cittadino Italiano, devi a quei nostri diciassette Compatrioti che non sono mai usciti dalla rotonda della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano. (per la Redazione di cadutipolizia.it Fabrizio Gregorutti) Commenta nel forum QUI |