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AD OPERA DI IGNOTI

“Quando viene ammazzato uno sbirro, puoi star certo che un colpevole viene sempre trovato”

(letta su internet)

Quanti sono i Poliziotti Caduti che non hanno mai ricevuto Giustizia?

Sono tanti….tantissimi.

Nel nostro database, in home page potrai trovare alcuni nomi, ma non ci sono nemmeno tutti.

Il primo in elenco, ma non necessariamente il primo in assoluto, è il vicebrigadiere Muzzini, del quale non conosciamo nemmeno il nome di battesimo, in servizio presso la Questura di Palermo, assassinato il 17 Marzo 1875 in un caffè di Monreale, un delitto dietro al quale si intravede l’ombra della mafia (quella cara vecchia “onorata società” di un tempo che secondo alcuni moderni ingenui non toccava donne, bambini e uomini delle Forze dell’Ordine). I colleghi di Muzzini arrestarono immediatamente alcuni sospetti, ma questi vennero liberati poco dopo dal Procuratore del Re il quale evidentemente valutò le prove come inconsistenti.

Anni dopo il sostituto procuratore chiuse il fascicolo sull’omicidio addebitando il delitto ad ignoti assassini e lo consegnò a qualche impiegato dell’archivio perché le carte del delitto venissero conservate nella speranza che magari un giorno saltasse fuori una nuova prova decisiva, che a qualche testimone ritornasse la memoria. Non accadde mai e, inesorabile, la polvere iniziò a cadere sulle carte dell’inchiesta. L’ultimo dei colleghi di Muzzini ad aver partecipato alle indagini sul suo omicidio morì decenni dopo, con l’amarezza  di non avere consegnato alla Giustizia ed al boia gli assassini dell’amico. La vedova del sottufficiale ucciso forse tornò nella natia Emilia e qui, fino a che la morte non la riunì per sempre al marito, rimase chiusa nel dolore per la perdita e nell’amarezza del non aver mai potuto vedere davanti ad un Tribunale gli assassini del proprio uomo. Gli stessi sentimenti che i figli del sottufficiale portarono per sempre dentro di sè. Poi quando tanti anni dopo anche loro si riunirono al padre, si spense anche l’ultimo ricordo del vicebrigadiere Muzzini. Se le carte dell’inchiesta sul suo omicidio esistono ancora oggi e non sono state distrutte dal tempo, rubate da qualche traditore o gettate al macero da qualche impiegato desideroso di far spazio sugli scaffali, si trovano all’Archivio di Stato di Palermo e racchiudono ancora oggi il mistero della sua morte e l’umiliazione della mancata giustizia dovutagli come Servitore dello Stato, ma soprattutto come Uomo.

Il 12 Aprile 1928 è una bellissima mattinata di primavera. I giornali milanesi annunciano in tono trionfalistico l’inaugurazione della Fiera Campionaria di Milano, definendola come l’apoteosi dell’industria italiana. E’ previsto l’arrivo di migliaia di visitatori, attirati dalla novità ed anche dalla presenza dell’ospite d’onore, il Re d’Italia Vittorio Emanuele III. L’agente Giuseppe Esposito, del Commissariato Porta Magenta, viene impiegato nel servizio d’ordine insieme ad altre decine di colleghi, di carabinieri e di militari. Il destino ha voluto che Giuseppe venga schierato in Piazzale Giulio Cesare, dove è previsto l’arrivo del Sovrano. Centinaia di persone si accalcano nella piazza, per poter vedere il Re. Forse Giuseppe guarda il cielo, pensando che è fortunato…è davvero una bella giornata. Poi la bomba esplode. Decine di spettatori in Piazzale Giulio Cesare vengono falciati dallo scoppio. Venti muoiono sul colpo e nei giorni immediatamente successivi e tra essi Giuseppe Esposito, ma non si saprà mai quanti morirono nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi per le terribili ferite. La censura fascista chiuderà presto lo spiacevole capitolo sulla strage della Fiera di Milano. Le indagini affidate alla Milizia Ferroviaria (sic!) finiscono in una bolla di sapone. Vengono arrestati alcuni antifascisti, ma il Regime sarà presto costretto a liberarli, perché totalmente estranei ai fatti e perché la sensazione di un complotto interno allo stesso partito fascista dietro alla strage è quasi una certezza quindi è meglio, molto meglio, insabbiare il tutto. Nemmeno nel Dopoguerra verranno riprese le indagini sull’eccidio, i cui autori non verranno mai individuati anche se l’ipotesi più ragionevole parla di una azione decisa da un gruppo di fascisti repubblicani milanesi, decisi ad uccidere il Sovrano. Giuseppe e gli altri 19 morti di Piazzale Giulio Cesare non riceveranno mai Giustizia dagli uomini.

Lo stesso Tribunale che non ha dato Giustizia ai poliziotti ammazzati insieme a centinaia di civili nelle stragi nazifasciste in Toscana, come l’agente  Nencini ucciso nell’eccidio di Civitella in val di Chiana (AR), il maresciallo Carrisi massacrato con altri innocenti nei pressi di Pisa, della guardia Bennati fucilato a Massarosa (LU). Nessuno dei loro assassini ha mai risposto dei propri crimini dinanzi al Tribunale degli uomini.

Come nessuno ha mai risposto della tragedia dei “prelevati” da presunti partigiani. Ad esempio il maresciallo di III classe Beniamino Rocco, “prelevato” e fucilato dai partigiani insieme alla moglie a Canolo di Correggio (RE) nel febbraio 1945. O il maresciallo Giuseppe Pregliasco della Questura di Genova, scomparso insieme al figlio nei caotici giorni della Liberazione. O il maresciallo Paolo Cogli, ucciso insieme alla moglie e ad un collega della Guardia di Finanza a Torino nel giugno 1945, non tanto perché sospettato di essere coinvolto nella repressione antipartigiana durante la guerra civile, bensì perchè “colpevole” di indagare sul furto subito dal negozio della moglie nei caotici giorni del dopo Liberazione.

D’accordo, mi dirai… queste sono le tragedie di una guerra, specialmente di una guerra civile, cose che possono accadere, ma negli anni successivi sicuramente le cose saranno cambiate… ma certo, come no.

Salto a piè pari gli anni dell’immediato Dopoguerra (ma anche qui ci sarebbe da parlarne a lungo) ed arrivo al 1960 ed agli scontri contro il governo Tambroni del giugno-luglio di quell’anno tra Forze dell’Ordine e dimostranti di sinistra. Il 7 Luglio a Reggio Emilia alcuni agenti di Polizia, messi con le spalle al muro durante un violentissimo scontro di piazza, persero la testa e aprirono il fuoco sui manifestanti, uccidendone cinque. Comunque la vuoi pensare fu un massacro spaventoso. Vi furono roventi polemiche, dei poliziotti vennero processati: al termine di un lunghissimo procedimento giudiziario alcuni vennero assolti ed altri condannati a pene che alcuni osservatori considerarono lievi. Un processo che doveva essere assolutamente fatto, non c’è dubbio: una strage del genere doveva finire di fronte al giudizio del Tribunale, ma sarebbe dovuto finirvi anche l’omicidio di un agente, morto esattamente due mesi dopo la strage di Reggio Emilia in seguito alle ferite riportate il  6 Luglio a Roma, quando a Porta San Paolo vi erano stati altri scontri durissimi tra manifestanti e polizia nel corso dei quali un agente, la guardia Antonio Sarappa del Reparto Celere di Roma, fu linciato riportando lesioni tali da portarlo alla morte il 7 Settembre di una terribile agonia. Che io sappia nessuno è mai stato non dico condannato per il delitto, ma nemmeno portato a giudizio, molto probabilmente per motivi di opportunità politica, forse perché tra i manifestanti c’erano alcuni deputati socialisti e comunisti. Fatto sta che giustamente ancora oggi tutti ricordano la strage di Reggio Emilia, ma nessuno ricorda il linciaggio della guardia Antonio Sarappa e la sua atroce e lenta agonia.


(la Guardia Antonio Sarappa)

Nessuno ha mai scoperto gli autori dell’omicidio della guardia Antonio Annarumma, del III Reparto Celere, assassinata il 19 Novembre 1969 in Via Larga a Milano durante altri scontri di piazza con estremisti di sinistra. Nessuno ha mai pagato per la sua morte, anzi tuttora vi sono intellettuali di “area” che nei loro scritti “depistano” il lettore parlando di morte in seguito ad un presunto “incidente stradale”, ignorando perizie mediche, testimonianze e soprattutto sentenze giudiziarie che parlano di omicidio ad opera di ignoti.


(la Guardia Antonio Annarumma)

Come nessuno ancora oggi sa chi uccise i tre agenti di Polizia uccisi negli scontri di piazza del ’77, l’ultimo degli “anni formidabili”, come sono stati definiti da qualche nostalgico.

Il primo fu l’allievo sottufficiale di P.S. Settimio Passamonti, della Scuola Allievi Sottufficiali di Nettuno, ucciso il 21 Aprile da un proiettile sparato dalla pistola di un estremista di sinistra mai identificato nei pressi all’Università della Sapienza a Roma. Fu quasi una strage: altri tre agenti, un carabiniere ed una giornalista vennero feriti dalle pallottole esplose dai “dimostranti” che non sono mai stati identificati. Chissà, forse oggi siedono in Parlamento.


(L'Allievo Sottufficiale Settimio Passamonti)

Poi c’è il vicebrigadiere Antonio Custra,  del III Reparto Celere, morto il 15 Maggio in seguito al colpo di pistola che lo aveva ferito mortalmente alla testa il giorno precedente in Via De Amicis a Milano. Contro le Forze dell’Ordine spararono in tanti, quel terribile giorno e oggi, anche chi tra gli estremisti prese parte alla manifestazione e armato di pistola aprì il fuoco sul cordone del Celere ignora se fu suo il proiettile mortale che uccise Antonio….e se non lo sanno loro…


(il Vice Brigadiere Antonio Custra)

E ancora la guardia Cesare Onofri del I Reparto Celere Il 12 Marzo gli autonomi indicono una grande manifestazione a Roma che degenera rapidamente in una delle battaglie urbane più violente degli anni della contestazione. L’agente Onofri ne rimane coinvolto sin dall’inizio, esplodendo decine di candelotti lacrimogeni contro gli autonomi che brandiscono spranghe, scagliano pietre e bulloni metallici. E sparano. Cesare viene ferito da un proiettile che si conficca nella sua spina dorsale. E’l’inizio di una lenta agonia. Cesare negli anni successivi viene operato, purtroppo senza esito. La lesione subita non lascia speranze e il giovane poliziotto, che ha affrontato con coraggio e dignità il proprio calvario, muore il 29 giugno 1983 dopo sei anni di sofferenze, per le quali nessuno ha mai pagato.

E’ in quello stesso 1983 che avvengono gli omicidi di altri due poliziotti sui quali non è stata ancora fatta luce.

Castelvolturno (CE), 17 Febbraio. L’agente Giuseppe Baccaro, in servizio presso la DIGOS di Milano, si trova in ferie al paese. Ha scelto quella sera di fine inverno per uscire con la fidanzata. Vanno a ballare poi si appartano in una zona isolata a bordo dell’auto di Giuseppe. E’ qui che vengono sorpresi dai rapinatori. Forse uno dei balordi è troppo nervoso, forse Giuseppe tenta di difendere la fidanzata o forse i criminali scoprono nel portafogli del giovane agente il tesserino della Polizia, ma uno dei rapinatori preme il grilletto e spara. Giuseppe Baccaro muore tra le braccia della sua ragazza, mentre i suoi assassini scompaiono per sempre nell’oscurità.

La stessa oscurità che dal 15 Novembre 1983 avvolge il bandito che nel Palazzo delle Poste di Asti uccise l’agente Fiorentino Manganiello, un ragazzo di nemmeno 23 anni ammazzato mentre cercava di sventare una rapina. Negli anni successivi dell’omicidio fu accusato un ex poliziotto, il quale trascorse due terribili anni in prigione sotto un’ imputazione infamante, prima che venisse riconosciuta la sua completa innocenza. E’ il secondo poliziotto vittima di quell’unico colpo di pistola che ha ucciso Fiorentino.


(L'Agente Fiorentino Manganiello)

Ed è ancora avvolto nel mistero il nome dell’assassino dell’agente dei NOCS Ottavio Conte, ucciso il 9 Gennaio 1985 a Torvajanica. Una prima falsa rivendicazione addebitò il delitto alle Brigate Rosse, deviando le indagini su una pista sbagliata, quindi si indagò sui neofascisti dei NAR, sulla Banda della Magliana e sulla criminalità comune… le indagini si arenarono irreparabilmente e, almeno per ora, definitivamente.

E nessuno a tutt’oggi sa chi fu ad uccidere il 23 Gennaio 1988 l’agente Angelo Grasso, della Questura di Roma, freddato da un rapinatore solitario che cercava di derubare lui e la fidanzata. Probabilmente l’assassino era un tossicodipendente alla ricerca del denaro necessario per comprare l’eroina e forse addirittura è morto da tanto tempo per overdose, ma una cosa è certa: non ha mai pagato per la morte di Angelo.

Come sono ignoti gli assassini ed i mandanti dell’omicidio dell’agente Antonino Agostino, ucciso insieme alla moglie Ida ed alla loro figlia ancora non nata a Villagrazia di Carini (PA) il 5 Agosto 1989. Si parla di mafia e servizi segreti, ma vent’anni non sono stati sufficienti per comprendere le ragioni che hanno portato alla sua morte e ogni pentito di mafia, anche il più prolifico nelle proprie dichiarazioni, ha sempre ribadito di ignorare chi abbia premuto il grilletto e chi abbia dato l’ordine. Forse è l’omicidio irrisolto più misterioso ed inquietante di tutti.


(L'Agente Antonino Agostino)

A chiedere con dignità, coraggio e forza la verità su quel delitto è rimasto solo il padre di Antonino, che ha giurato di non tagliarsi barba e capelli sino a che non verrà fatta luce sul delitto, con una voce che è rimasta solitaria ma che, proprio per questo non puoi fare a meno di ascoltare. Tu, però.

La Giustizia degli uomini invece, oltre che cieca a quanto pare è pure sorda e Antonino e Ida attendono ancora oggi.

Vorrei chiudere queste righe con qualche citazione celebre, con qualcosa che ti lasci una speranza, con qualcosa che ti lasci almeno una parvenza di illusione.

Perdonami, caro lettore. Proprio non ci riesco.

Per la Redazione Cadutipolizia: Fabrizio Gregorutti

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