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CARNE DA CANNONE

(il Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza 1919-1923)

L’Italia nel 1918 vince la Grande Guerra ad un prezzo atroce: quasi 700.000 morti,milioni di feriti e mutilati,  intere regioni devastate, le finanze a pezzi. A questo si deve aggiungere il difficile reinserimento nella vita civile di oltre cinque milioni di reduci, feriti nel corpo e nell’anima dall’orrore del fronte e ora a casa, umiliati dalla disoccupazione, dalla delusione e dai maltrattamenti e dal disprezzo spesso subiti da parte degli estremisti di sinistra, perché ora i socialisti pacifisti del 1915 che hanno cercato con coraggio ma inutilmente, di impedire la catastrofe dell’ingresso in guerra, si scontra con i fanatici  eccitati dai successi della Rivoluzione russa, i quali vedono nei reduci, specialmente negli ufficiali, dei guerrafondai. Molti ex combattenti iniziano così ad ascoltare le pericolose sirene dell’estremismo di destra, che parlano di “vittoria tradita” e seguono così la spedizione di D’Annunzio a Fiume e guardano con interesse al partito fascista, fondato da un giovane giornalista, Benito Mussolini.

Esplodono violentissimi scontri di piazza, con morti da entrambe le parti. A destra le spedizioni delle squadre d’azione fasciste sono feroci e spietate e lasciano dietro di loro una scia di morti e di feriti che ancora oggi rende allibiti e sconvolti, ma anche a sinistra non si scherza affatto: gli omicidi di oppositori politici e di militari, spesso linciati da folle inferocite, sono perpetrati con una malvagità tale da farti perdere le illusioni su eventuali “buoni” in quegli anni.

Per il governo di Francesco Saverio Nitti è chiaro che il vecchio corpo delle Guardie di Città non è più adatto a rispondere al clima prerivoluzionario del Dopoguerra, quindi il 4 Ottobre 1919 decide la riforma della P.S.. Se ne parla da anni e ormai non è più rimandabile, peccato però che come tante altre succedutesi nella storia unitaria del nostro Paese, anche questa riforma sarà organizzata in modo raffazzonato e disordinato.

Si creano due distinti corpi di Polizia, quello degli Agenti d’Investigazione (più noti come “ agenti investigativi”)  ad ordinamento civile, impiegato appunto nei servizi d’indagine, e la Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza, a struttura militare, i cui compiti sono quelli dell’impiego nell’ordine pubblico.

Sulla carta l’organizzazione di quest’ultima è ben strutturata. Viene creato un Comando Generale sul modello di quello di Carabinieri e Finanza e la struttura territoriale è articolata sulle Legioni, come quelle delle altre forze di polizia militare. A inquadrare il nuovo Corpo sono chiamati ufficiali sia del Regio Esercito che di Carabinieri e Finanza, ai quali viene garantito uno scatto di carriera in più, fatto che scatena ire ed invidie dei loro colleghi dei Corpi di provenienza.

Si arruolano decine di migliaia di guardie, per la maggior parte reduci di guerra, molti provenienti dal Sud (e proprio questa origine etnica sarà causa di molti apprezzamenti razzisti), i quali senza un serio addestramento vengono trasformati in poliziotti, intabarrati con una uniforme grigioverde e l’elmetto del Regio Esercito e impiegati nell’ordine pubblico come se si trattasse di unaguerra .

Il primo Caduto è il vicebrigadiere Angelo Serra, della Legione di Torino, colpito alla testa il 2 Ottobre 1919 in un agguato e morto in ospedale il 2 Gennaio 1920, appena tre mesi dopo la fondazione del Corpo. E’ l’inizio di uno spaventoso stillicidio. Il 28 Aprile dello stesso anno, a Roma, esplodono violentissimi  scontri nei pressi del Colosseo. La guardia Umberto Basciani è in sella al proprio cavallo e partecipa alle cariche, quando un dimostrante lo afferra e lo scaraventa a terra, finendolo a coltellate. Appena tre giorni dopo, a Torino le manifestazioni del 1° Maggio degenerano in guerriglia urbana e anche qui scorre il sangue. Muiono le guardie Umberto Panetta ed Ettore Polito, quest’ultimo dilaniato dall’esplosione di una bomba a mano che gli è stata scagliata contro dai manifestanti. La tensione sale alle stelle tra le guardie regie, le quali si rendono conto di essere state spedite al massacro senza nessuna preparazione ed addestramento. Nemmeno un mese dopo, il 24 Maggio in via Nazionale a Roma c’è una manifestazione nazionalista degli esuli dalmati. E’ piuttosto accesa, ma non trascende sino a che alcuni dei partecipanti non cercano di sfondare il cordone di guardie regie. La cronaca del “Corriere della Sera” del giorno successivo, racconta ciò che accade. Nel parapiglia un ufficiale delle Guardie Regie si becca da un dimostrante un robusto pugno sul naso. A questo punto un brigadiere, visto il proprio superiore in difficoltà accorre in suo soccorso e, per disperdere l’assembramento, ha la geniale idea di estrarre la pistola e di sparare in aria. Poche decine di metri più in  là c’è un gruppo di guardie regie che sente i colpi di pistola, vede l’ufficiale aggredito e la sua faccia coperta di sangue, pensa che sia stato colpito dai dimostranti e, senza attendere gli ordini degli ufficiali, inizia a sparare nel mucchio, sulla folla e sugli stessi agenti che si trovano al di là di essa.

E’ peggio di un crimine: è una follia. Muoiono otto persone, tra le quali le guardie regie Ottavio Blatti, Torquato Ciccarelli, Luigi Tondo, Pasquale Trio e Antonio Violante e tre civili. Lo scandalo è terribile e porta dinanzi  al Tribunale Militare gli agenti responsabili della strage e getta una macchia sull’intera Regia Guardia, una macchia che viene sfruttata da tutti coloro che sono interessati a  screditare il Corpo.

In giugno le guardie regie sono nuovamente gettate allo sbaraglio, questa volta ad Ancona dove si è ammutinato un intero reggimento di bersaglieri. A questi si sono uniti centinaia di estremisti di sinistra che hanno gettato il capoluogo marchigiano nel caos. Le guardie regie intervengono insieme ai carabinieri e ai militari lealisti e si ritrovano in una vera e propria guerriglia urbana che sembra il prodromo di una guerra civile, come quando il treno che porta ad Ancona qualche centinaio di militari e guardie viene attaccato a raffiche di mitragliatrice. Muoiono il tenente Umberto Rolli e il vicebrigadiere Sante Fargioni. Prima che la rivolta si concluda moriranno anche il vicecommissario Pier Antonio D’Aria, l’agente investigativo Luigi Cristallini  e la guardia Eugenio Masotto.

Ma non è finita qui. Se ora l’ordine regna ad Ancona, non si può dire lo stesso del resto d’Italia dove nella tarda estate del 1920 le fabbriche vengono occupate dagli operai di sinistra armati sino ai denti, le Guardie Rosse, come a Milano, Genova e Torino, ma anche nelle altre città. Il governo riesce a fatica a riportare la calma, ma a prezzo durissimo. Muoiono in tanti e tra questi vi sono altre guardie regie.

Uno di loro si chiama Giovanni Giuffrida, ed appartiene alla Legione di Trieste. L’8 Settembre e’ in uniforme ma fuori servizio, quando il tram sul quale viaggia viene bloccato da una folla di militanti di sinistra coinvolti in violentissimi scontri. Giovanni viene riconosciuto come poliziotto, scaraventato giù dalla vettura, disarmato, picchiato a calci e pugni. Ormai è a terra, gravemente ferito, ma al branco impazzito non basta. Qualcuno afferra la pesante sbarra di bronzo del manovratore del tram e la cala più volte con forza sulla testa di Giovanni. Hai mai visto un cranio distrutto?

Il 23 Settembre, la guardia regia Luigi Santagata, della Legione di Venezia ma aggregata a Torino, rimane isolata e cerca di tornare in caserma, ma viene sorpresa dalle guardie rosse che la inseguono sino ad una garitta ferroviaria. Luigi vi si barrica e spara sino a che esaurisce il caricatore della pistola, ed è allora che decine di guardie rosse attaccano eroicamente il giovane poliziotto rimasto disarmato e coraggiosamente lo linciano a calci, pugni e bastonate sino a che Luigi è solo un mucchio informe di carne e ossa senza più vita. Il corpo viene abbandonato sulla massicciata ferroviaria dagli “eroi” che si allontanano. Circa un’ora dopo giunge una pattuglia di poliziotti per recuperare il corpo del collega, ma un cecchino dei miliziani, appostato in un edificio vicino apre il fuoco, freddando con un colpo di fucile la guardia regia Matteo Crimi.

Le cronache dell’epoca sono piene di orrori simili a questi e, credimi, dopo averne consultate alcune, perderai molte illusioni sulla bontà del genere umano.

Anche la struttura della Guardia Regia subisce dei durissimi attacchi. L’umiliazione peggiore, paradossalmente avviene al momento della consegna della Bandiera di Guerra il 4 Giugno 1920. Per un Corpo Militare dello Stato è un momento speciale, il più importante, un battesimo vero e proprio. Ma per la Regia Guardia è diverso. Di tutte le autorità militari invitate giunge solo il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, presenza importantissima certo, ma di fatto l’unica.

La verità è che la Regia Guardia non è particolarmente amata tra le gerarchie militari, non solo per le invidie suscitate dalle rapide promozioni interne che, in un ambiente basato sull’anzianità e non sulla meritocrazia, come quello statale italiano (non solo quello militare), non porta proprio a sentimenti di amicizia interforze, ma anche per l’orgoglio di Corpo ai limiti dell’arroganza di molti ufficiali della Guardia, specie i più giovani i quali dopo due anni  di scontri di piazza pressocchè interrotti si considerano i difensori dello Stato e si mettono in contrapposizione con l’Arma dei Carabinieri, che della difesa dello Stato si è sempre considerato il cultore supremo.

Oggi vi sono storici che considerano i militari della Regia Guardia come antifascisti di sinistra. Parere che, con tutto il rispetto mi permetto di non condividere. Certo tra le guardie regie ci sono antifascisti e simpatizzanti di sinistra (così come vi sono fascisti, ma anche popolari, nazionalisti e addirittura repubblicani), ma non così tanti da definire politicamente il Corpo. Si enfatizza l’episodio di Modena del 26 settembre 1921, quando gli squadristi aggrediscono un funzionario di Polizia e le guardie regie intervengono in suo soccorso aprendo il fuoco sui fascisti uccidendone otto. Scusami, ma ugualmente non così convinto dell’ antifascismo delle guardie regie, le quali avrebbero sparato senza esitare anche se ad aggredire il proprio superiore fossero stati socialisti e comunisti. E poi non è che la sinistra abbia fatto molto per accattivarsi le simpatie delle guardie regie e più in generale delle Forze di Polizia. Uno dei fondatori del PCI, Antonio Gramsci sul giornale “Ordine Nuovo” il 30 Agosto 1921 scrive così “ …Questa gente [gli appartenenti alle Forze dell’Ordine]  odia, dopo averne disertato le file, la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione […]. ..” “ […] Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia, carabinieri, guardie regie ed agenti gareggino nel bastonare gli operai arrestati, nel rallegrarsi delle loro torture. E' un odio di lunga data. Gli agenti dello Stato addetti al mantenimento dell'ordine pubblico sentono attorno a sé il disprezzo che tutta la classe lavoratrice ha per i rinnegati, per quelli che sono passati nell'altro campo, per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato […]” “[…] sono i più umili agenti, i più modesti carabinieri, l'ultima delle guardie regie. Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato […]”…ti dirò, se Gramsci non fosse di origine sarda, mi sarei aspettato che l’articolo si concludesse con un sonoro “sbirri terroni!” .

In realtà la Guardia Regia a partire dal 1920 si comporta come le altre Polizie e Forze Armate del Regno. In più occasioni le guardie (come d’altra parte i carabinieri ed i militari) girano gli occhi dall’altra parte in occasione delle spedizioni delle camicie nere e anzi, in alcuni casi vi sono ufficiali che a queste forniscono loro armi e mezzi. Perché lo fanno? Sono d’accordo con te, è ingiustificabile, ma i singoli ufficiali ormai annusano l’aria che tira e non se la sentono di rischiare la carriera ostacolando chi viene visto come il più probabile vincitore nella guerra civile strisciante che percorre l’Italia da Nord a Sud. Per guardie e sottufficiali c’è invece l’ostilità istintiva verso chi sulle piazze ha riservato per loro solo odio, violenza e disprezzo razzista.

Sbagliano di grosso. Se sommi l’ostilità da parte dei vertici delle Forze Armate e dei partiti antifascisti, la progressiva dissoluzione dello Stato liberale che le ha create e lo strapotere dei fascisti che sfruttano le Guardie Regie, ma che per loro non hanno alcuna simpatia dopo l’episodio di Modena, per il Corpo si prepara la fine.

E’ il 29 Ottobre 1922, il giorno dopo la Marcia su Roma. A Bologna il maresciallo Paolino Vitalone è fuori servizio quando incappa in un camion carico di fascisti che stanno festeggiando la conquista del potere e che, quando vedono il poliziotto, si esaltano ancora di più: chi oserà contrastarli? Di sicuro non uno sfigato di sbirro. Qualcuno strilla “Ehi! Freghiamo la pistola alla guardia !”.Vitalone si limita a rivolgere uno sguardo sprezzante agli squadristi, alcuni nemmeno ventenni, e risponde sarcastico “ Voialtri non sapete ancora di stare al mondo e volete portare le armi?”. Queste parole sconvolgono nel loro onore gli squadristi i quali, offesi nella loro dignità di guerrieri, sparano in faccia al poliziotto, il quale morirà durante il trasporto in ospedale.

Quando sale al potere Mussolini inizia il conto alla rovescia per il Corpo. E’ l’unica Polizia che può essere toccata, i Carabinieri e la Finanza sono di stretta osservanza monarchica e intervenire su di loro significa porsi in attrito con il Re e l’Esercito. La Guardia invece, è soltanto la creazione dell’Italia liberale ormai scomparsa. Può morire con lei.

Il Duce nomina Capo della Polizia uno dei suoi fedelissimi, il generale Emilio De Bono. E’ l’uomo adatto per farla scomparire, con il pretesto della riorganizzazione delle Polizie.

Si approfitta delle festività natalizie per eliminare il Corpo. Basta un Regio Decreto per distruggere i sacrifici ed il sangue dei tre anni precedenti. Il testo piomba come una mazzata nelle caserme sparse in tutto il Regno e dall’oggi al domani si ritrovano disoccupati…. Ebbene sì, perché lo scioglimento della Guardia non significa l’assorbimento automatico dei militari e degli agenti nel neonato Ruolo Specializzato dell’Arma dei Carabinieri. Gli ufficiali ritorneranno nei Corpi di provenienza o verranno ammessi nell’Arma con il grado precedente ed alcune altre facilitazioni, ma sottufficiali e guardie sono ammessi a domanda, una domanda che non è certo venga accettata, tanto che è previsto il licenziamento e il collocamento a riposo dei militari che non corrispondono ai requisiti per l’ammissione al Ruolo Specializzato.

Ed è così che, dopo tanto sangue, migliaia di guardie si trovano in mezzo ad una strada senza lavoro.

L’agenzia giornalistica “Stefani” (l’antenata dell’ANSA) il 2 Gennaio 1923 scrive che la decisione dello scioglimento, spiegata dagli ufficiali alle guardie in nome dei superiori interessi della Patria,  è stata accolta in silenzioso rispetto e addirittura con sollievo… ma certo, come no…in realtà nelle caserme serpeggia quello che solo con un eufemismo può essere chiamato malumore. No, tra le giovani guardie c’è rabbia e disperazione e protestano vivacemente. Hanno sofferto, hanno lottato, hanno versato sangue e hanno visto morire i loro colleghi e ora non ci stanno ad essere allontanati così, con un regio decreto che ha tutto il sapore di un umiliante benservito...  a Parma, Pisa e Genova i militari vengono faticosamente calmati dai propri ufficiali, a Napoli un paio di centinaia di guardie attacca la sede del Fascio, causando molti danni. Ma è a Torino, dove era morta la prima guardia regia, che il Corpo scompare in un’ esplosione di violenza

(avvertenza: quello che segue è tratto dalle cronache della “Stampa” e della “Gazzetta del Popolo” del 31 Dicembre 1922, per le quali ringrazio il prof. Milo Julini . Personalmente considero estremamente credibili questi resoconti giornalistici, sia perché ben scritti da cronisti testimoni dei fatti ma anche perchè il governo sequestrò la maggior parte delle copie dei due quotidiani, all’evidente scopo di cancellare una versione indipendente degli avvenimenti)

E dal pomeriggio del 30 Dicembre che centinaia di guardie regie si sono chiuse nelle caserme dell’antica Capitale. La rabbia è feroce, la sensazione del tradimento è dolorosa. I fascisti vengono visti come i principali responsabili dello scioglimento e dalle caserme giungono urla che fanno paura “ABBASSO MUSSOLINI!” e “VIVA LENIN!”. Sì, “Viva Lenin!” perché le guardie regie, ingannate ed umiliate, inneggiano al leader bolscevico russo in contrapposizione al Duce, ma non è una presa di posizione politica bensì un grido di sfida rivolto a chi li ha traditi.

Ma alle 21,15 dalla caserma “Carlo Emanuele” di via Giuseppe Verdi escono a gruppi centinaia di giovani guardie regie, armate sino ai denti e decise sia a protestare dinanzi alla Prefettura che a dar battaglia ai fascisti. Su Torino cade neve mista a pioggia, che d

Gli ufficiali delle guardie regie e quelli dei carabinieri cercano di fermare quello che minaccia di diventare un ammutinamento e in molti casi ci riescono. Uno di loro, il capitano Guerra, insieme al vicecommissario Ramella fa desistere molti dei suoi ragazzi convincendoli a rientrare nei ranghi, per evitare il massacro fratricida tra Uomini dello Stato «Avete fatto la vostra dimostrazione - dice - ed ora bisogna che finisca perché questi spari disordinati potrebbero colpire qualche pacifico cittadino. La vostra protesta è fatta, incolonnatevi e seguite il comando». Guerra è un Comandante rispettato ed amato e i suoi ragazzi gli obbediscono anche se dal loro gruppo giunge un grido carico di amarezza “ABBIAMO FATTO LA GUERRA ED ORA CI MANDANO VIA!”. Ad ogni buon conto, davanti alle caserme “Carlo Emanuele” e “Cernaia” arrivano carabinieri, alpini e cavalleggeri provvisti di autoblindo e mitragliatrici,  che bloccano gli ingressi. Come si suol dire, con le buone e con le cattive…ugualmente però i militari non aprono il fuoco sulle guardie. Anche se il Corpo non ha mai ispirato grandi simpatie nelle altre strutture militari, a soldati e carabinieri ripugna uccidere altri Italiani in divisa. Le cronache lasciano capire chiaramente che si cerca di trovare una soluzione pacifica per evitare un eccidio ed è così che funzionari di P.S., ufficiali delle Guardie Regie, carabinieri ed esercito rastrellano per tutta la città le guardie regie che partecipano all’ammutinamento e che si arrendono senza opporre resistenza, ad eccezione di un gruppo di 200- 300 giovani che marciano verso Piazza Castello e la Prefettura.

Ma ai fascisti la soluzione pacifica non basta. A comandare le camicie nere di Torino è il “ras” cittadino Piero Brandimarte, un fanatico assassino che meno di due settimane prima si è reso responsabile di una carneficina ai danni di socialisti e comunisti e ora le urla che sente provenire dai poliziotti  in marcia offendono la sua sensibilità “VOGLIAMO LA NOSTRA BANDIERA!” “VIVA LA GUARDIA REGIA!” “ABBASSO I FASCISTI!” “ABBASSO MUSSOLINI!”. Con centinaia di squadristi armati di tutto punto si presenta in Questura, a quel tempo in piazza San Carlo. Il Questore in quel momento si trova all’interno della caserma “Carlo Emanuele” dove calma gli animi dei poliziotti rimasti che, per quanto non abbiano preso parte all’ammutinamento sono delusi e furibondi. Altri funzionari e ufficiali stanno convincendo i gruppi di ammutinati nel centro di Torino a ritornare nei ranghi. I dragoni del Nizza Cavalleria si stanno dirigendo verso Piazza Castello, dove bloccheranno il folto gruppo di poliziotti che si sta dirigendo verso la Prefettura, Palazzo Reale e Palazzo Madama, che lì si trovano. Quando le guardie regie si troveranno dinanzi ai soldati lanceranno qualche grido di protesta, poi una volta raggiunti dai propri ufficiali torneranno in caserma, come tutti gli altri. Finirà tutto bene, pensano i pochi funzionari rimasti in Questura che quindi non hanno tempo da dedicare ai formidabili guerrieri delle squadre d’azione fasciste e al loro condottiero assetato di sangue. Male, perché poco prima delle 23, sentendo le grida delle guardie regie avvicinarsi alla vicina Piazza Castello, gli eroici squadristi dopo avere berciato qualche “alalà” scompaiono e si dirigono di corsa verso Piazza Castello, prima che venga raggiunta dall’Esercito, ed è qui che si appostano,armati con  fucili e pistole, attendendo che le guardie regie escano dalle vie laterali.

La loro attesa viene premiata pochi istanti dopo.

Quando le guardie regie escono allo scoperto nella piazza si trovano dinanzi non a degli avversari, ma ad un autentico plotone di esecuzione, una gragnuola di colpi che abbatte la prima fila dei poliziotti, uccidendo le guardie Fortunato Arcuri, di 21 anni, Alfredo Leone, di 22, Antonio Correnti, di 25 e Vincenzo Pagliano, di 21.  Altri tre poliziotti rimangono feriti nell’agguato. Muore anche una giovanissima camicia nera, forse colpita dai pochi proiettili sparati dalle guardie regie, forse uccisa per errore dai suoi stessi camerati così entusiasti di ammazzare. 

La Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza scomparve così, in una notte di fine dicembre. Decine di poliziotti vennero arrestati e deferiti dinanzi al Tribunale Militare per la loro partecipazione agli scontri, altre migliaia vennero licenziati e buttati sulla strada, ad ingrossare le file dei disoccupati. Quando, nelle settimane ed i mesi successivi, vennero definitivamente congedati, spesso i loro convogli diretti verso il Sud vennero attesi alle stazioni ferroviarie dalle camicie nere, che riservavano agli ormai ex poliziotti dileggi ed insulti terribili. Altrettanto spesso, però le guardie regie, che non avevano più nulla da perdere, scendevano dai treni ingaggiando violente risse con i fascisti, risse dalle quali le guardie uscirono sempre vincitrici.

Ma furono delle magre soddisfazioni per quei ragazzi che avevano rischiato la vita per uno Stato che li aveva poi ringraziati tradendo le loro speranze ed i loro sacrifici.

Le guardie regie ritornarono alle loro esistenze nel difficile Meridione italiano degli anni ’20 e ’30.

Non so che cosa sia stato di loro, come siano sopravvissuti, come il Regime li abbia trattati, se siano stati riassunti al momento della rifondazione della Polizia nel 1925 oppure se delusi abbiano preferito restare ai campi che avevano lasciato appena pochi anni prima o se addirittura abbiano abbandonato l’Italia in cerca di un avvenire migliore.

Ma so che meritavano molto di più dal loro Paese.

(per la redazione di Cadutipolizia.it Fabrizio Gregorutti)

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