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IL NUMERO ZERO

(Nel 156° anniversario della nascita del Corpo delle  Guardie di Pubblica Sicurezza.- 1852-2008)   

C’è un Caduto che probabilmente non avrà mai il posto nelle nostre pagine.

Con ogni probabilità non riusciremo mai a scoprire il suo nome, a meno di un colpo di fortuna. E’ un evanescente fantasma, un’entità impalpabile che riusciamo a distinguere attraverso le nebbie della Storia, ma del quale non riusciamo a distinguere il volto. Sentiamo dentro di noi che è esistito, ma proprio come un fantasma, è inafferrabile e ci sfugge tra le mani.

E’ il primo Caduto della Polizia del Regno di Sardegna, l’organizzazione dalla quale come poliziotti discendiamo per linea diretta. E’ il Numero Zero. 

Il primo Caduto noto della Polizia italiana è la guardia di Pubblica Sicurezza Felice Conti, morto il 18 Luglio 1860 in seguito alle ferite subite in  uno scontro a fuoco con una banda di briganti alla periferia di Milano, ma prima di allora non sappiamo nulla dei Caduti della Polizia del Regno di Sardegna, per quanto siamo certi che vi siano stati, in quei  12 anni che vanno dalla Prima Guerra d’Indipendenza allo sbarco dei Mille a Marsala. 

L’Amministrazione di Pubblica Sicurezza del Regno di Sardegna nasce il 30 Settembre 1848, quando il governo di Torino decide di creare sul modello degli altri Paesi liberali una struttura di Polizia sottoposta ad un’autorità civile. Sono anni difficili per il Regno di Sardegna, che aspira a unificare la Penisola, ma che si trova ad affrontare una offensiva criminale durissima. 

In epoca  risorgimentale le campagne piemontesi, ma anche quelle sarde e quelle savoiarde e nizzarde (all’epoca facenti parte del Regno sabaudo)  sono percorse da bande di feroci briganti disposte a qualsiasi crudeltà  pur di guadagnare quattro soldi senza troppa fatica.  

Nella stessa Torino  la situazione non è  molto migliore, poiché alla normale criminalità comune si è aggiunta una associazione di malfattori a partire dal 1854,  e con particolare vitalità tra il  1856 ed il 1858  formata da criminali spietati, nota come la “Còca” o in italiano la Cocca. 

Il caos seguito alla sconfitta nella Prima Guerra d’Indipendenza e l’incauto provvedimento del maggio 1848 di liberazione dalle prigioni di ogni cittadino incarcerato senza processo con un provvedimento, largamente applicato prima del 1848, definito in via «economica» poi, non ha fatto altro che peggiorare la situazione, gettando nel brigantaggio  centinaia di disertori e renitenti alla leva.

Il governo decide quindi di mantenere i Carabinieri, abolisce le polizie municipali (che rinascono senza competenza criminale), scioglie la vecchia polizia del ministero della guerra-ministero interni.  

La nuova Amministrazione di Pubblica Sicurezza, quindi inizia ad operare in questo difficile contesto. I primi anni l’organizzazione è a dir poco approssimativa, con una struttura operativa limitata a poche città del Regno e che è costretta ad appoggiarsi all’Arma dei Carabinieri.  Solo nel 1852 viene istituito il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza che già all’inizio della sua esistenza è un’organizzazione poco apprezzata. I giornali antigovernativi dell’epoca sono pieni di articoli che criticano i poliziotti, descritti come inefficienti e scarsamente preparati. Ma soprattutto le opposizioni criticano i politici (Cavour, Galvagno, Ponza di San Martino, Rattazzi) accusati di non saper gestire bene le forze di polizia, ma ci sono accuse ben peggiori e dimostrate, che rivelano le complicità tra criminalità ed alcuni appartenenti alla Polizia. Purtroppo è vero ma è altrettanto vero che allora come oggi bastano poche mele marce per dire che tutto il barile è guasto.  

La verità è che i  poliziotti di allora sono uomini duri e spietati come il tempo in cui vivono ed affrontano dei  rischi inconcepibili per l’epoca moderna. Sono figli dell’Europa di allora, dove le condizioni di vita sono simili in tutto il Continente, da Torino a Londra, da Berlino a Napoli. Sono nati in famiglie contadine dove la fame e le malattie hanno ucciso molti dei loro fratellini, dove i genitori e loro stessi, fin da piccoli, si sono sfiancati a lavorare sui campi dall’alba al tramonto per pochi soldi  per poter mettere in tavola una polenta grezza o, come in Sardegna, una zuppa contenente più acqua che cibo. Provengono da famiglie del proletariato urbano torinese e genovese dove i genitori sono invecchiati troppo presto a causa della denutrizione e delle condizioni infernali del lavoro nelle fabbriche dell’epoca, dove spesso loro stessi hanno lavorato e nelle quali anche in tenera età dove sono stati sfruttati e costretti a turni di lavoro così massacranti che quando vanno a dormire dopo ore di sfiancante lavoro nelle industrie tessili le loro dita continuano a muoversi nel sonno, come se continuassero a lavorare sui telai, fabbriche dove le vittime degli incidenti sul lavoro sono qualcosa che fa impallidire le già atroci cifre moderne.

Crescendo, molti di loro hanno indossato la divisa di panno grezzo dell’esercito del Regno di Sardegna ed hanno combattuto nelle guerre d’indipendenza e nella guerra di Crimea, che sono state tutt’altro che le romantiche campagne belliche  descritte dalla retorica risorgimentale. Sono state guerre atroci come tutte quelle di ogni tempo, fatte di assalti alla baionetta, di cannoni che devastano le fila di uomini all’assalto, ferendo, smembrando, mutilando, uccidendo, di baionette che rimangono conficcate nei corpi, delle urla di uomini morenti sui campi di battaglia, urla così terribili da sovrastare lo stesso fragore delle artiglierie e dove la paura colpisce tutti, dai Re all’ultimo dei fanti.   Dopo avere vissuto i primi 25 anni della loro vita all’inferno, come meravigliarsi se quando si arruolano in Polizia i nuovi agenti  non abbiano paura di nulla e di nessuno, nel bene e nel male ?

I loro comandanti sono diversi. L’Amministrazione di Pubblica Sicurezza del Regno di Sardegna è una struttura nuova che accoglie nuovi funzionari apportatori di  idee innovative, alcuni provenienti addirittura dalla magistratura. ma tutti, guardie e funzionari, sin dal primo istante sono disposti a rischiare la propria vita per quella piccola  fiammella di speranza che si chiama Regno di Sardegna e che dopo dodici anni diventerà Italia. 

Le cronache degli anni ’40 e ’50 dell’ 800 raccontano dei successi investigativi dei primi Poliziotti del tempo, delle lotte contro criminali e briganti spietati, delle vittime salvate dagli agenti (noti tra il 1848 ed il 1852 con la pittoresca qualifica di “apparitori”) , della partecipazione dei poliziotti ai soccorsi in occasione di catastrofi naturali, esplosioni ed incendi. Abbiamo notizie di ferimenti di agenti e funzionari, come quello del delegato di Pubblica Sicurezza Giacomo Frencia, ferito a pugnalate e ridotto ad un invalido dal brigante Francesco Delpero  a Racconigi (Cuneo) nel 1853 oppure dell’apparitore  di PS Carlo Demartini che a rischio della vita salva molti civili vittime dell’esplosione della polveriera di Torino nel 1852, ma nulla abbiamo dei funzionari e degli agenti  che certamente in quegli stessi anni hanno dato la loro vita in difesa dei Cittadini. Negli stessi anni l’Arma dei Carabinieri perde molti dei suoi militari in azione, militari ricordati in monumenti, libri, giornali dell’epoca. Dei Caduti dell’Amministrazione e delle Guardie di PS in quei 12 anni nulla….i loro nomi sono stati inghiottiti dalla Storia, forse distrutti dal bombardamento avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale,  e dall’incendio dell’Archivio di Stato di Torino proprio nel settore del Ministero degli Interni oppure,  più tristemente, dalla mancata trasmissione di molti atti all’archivio stesso e che ha condannato all’oblio i Caduti della Polizia del Regno di Sardegna quando i documenti che li riguardavano sono stati gettati con indifferenza al macero. Noi preferiamo pensare che, se proprio sono scomparsi,  i documenti sulla morte del Numero Zero siano stati inghiottiti dal rogo dell’Archivio di Stato di Torino e che, come l’anima di un Eroe, le fiamme abbiano portato il suo nome nel Cielo. 

Il Numero Zero cade negli anni prima dell’Unità, vittima del Dovere. Non conosciamo il suo nome e la sua qualifica né le cause della sua morte e dove e quando questa sia avvenuta, se in Piemonte, in Sardegna o in Savoia o a Nizza, all’epoca facenti parte del Regno di Sardegna. Sappiamo solo che è un Uomo che non voleva essere un Eroe, ma che nell’ultimo istante lo è diventato, sacrificando la sua esistenza perché Altri vivessero. Sappiamo che è un Poliziotto, vissuto e morto per l’Italia. Sappiamo solo che è il primo di una lunga schiera di Uomini e Donne in Blu che hanno donato la vita per gli Altri in questi 160 anni.  

E questo ci basta. 

Perché a volte non serve nemmeno un nome. 

Ci basta quella figura che intravediamo nella nebbia della Storia. 

( si ringrazia per la cortese collaborazione il prof. Milo Julini)