Le Guardie P.A.I.

Vice . brigadiere P.A.I. in sahariana.

Tempera di Cantelli edita dall’Ufficio Storico della Polizia di Stato, 2002

 La P.A.I.

Voluta dal fascismo nel 1936, la Polizia coloniale (dal ‘38 con mutata denominazione di Polizia Africa italiana), all’epoca fu considerata il “fiore all’occhiello” delle Forze del Regno per gli straordinari caratteri di modernità che riuscì ad esprimere, caratteri ben visibili negli innovativi criteri di selezione e formazione del personale, e nelle dotazioni sia individuali che di reparto, spesso consistenti in mezzi ed armi espressamente realizzati per quella Polizia.

Fino alla caduta dell’Impero, le guardie P.A.I. furono impiegate nelle Colonie; perdute quelle regioni divenute protettorati britannici, quei professionisti erano reintegrati nei loro incarichi sotto le nuove autorità. A loro insaputa, nelle ex colonie i “paini” andavano anticipando quella forma di collaborazione tra le Forze italiane e quelle alleate avutasi dall’8 settembre ‘43 nella Penisola man mano che essa veniva liberata dalle forze anglo americane. Terminata l’esperienza in Africa, le guardie P.A.I.  vennero impiegate nelle questure del Regno.

Il Corpo, seppur figlio della politica colonialista fascista,  dai primi mesi del ’41, cominciava ad avvertire direttamente le disfunzioni di un organizzazione amministrativa dello Stato che non riusciva più a mantenere le pubbliche e solenni promesse degli anni del consenso, lasciando che l’animo del dubbio acceso dalla propaganda sempre più intensa insinuasse gli animi di quegli uomini. La Polizia coloniale da sempre legata alla Corona,  assumeva verso il fascismo una posizione dapprima “defilata” per poi divenire di aperta ostilità. Il comandante del Corpo, Generale Riccardo Maraffa, nominato Comandante delle Forze di Polizia di Roma dichiarata “Città Aperta”, permisero allo stesso di attuare una politica   di collaborazione debole” con le alte gerarchie tedesche, contenendo le intemperanze militari di chi si considerava tradito. Altra figura importantissima nella storia della P.A.I. è stata quella dell’allora colonnello Sabatino GALLI, al quale, nell’immediato dopoguerra,  venne concessa la medaglia d’oro al valor Militare dal Governo degli USA per il suo contributo alla Guerra di Liberazione.

Con il nuovo corso storico repubblicano la politica estera e interna del Paese, non lasciava più spazio ad un Corpo così fortemente orientato all’esigenze colonialiste, ma le eccellenti prove di reparto e di uomini offerte ne fecero un esperienza fondamentale per il rifondato nel nuovo Corpo di P.S. (1945); gli uomini P.A.I. nella P.S. raggiungevano i più elevati incarichi di comando sia di Corpo che di Reparto, quale testimonianza della formazione e capacità (gli ufficiali erano tutti laureati e reduci di più fronti bellici) rispetto ad altro personale di P.S.. Va ricordato che fino ai primi anni ’40 il Corpo degli Agenti di P.S. era privo di Ufficiali, fatto che favoriva le progressioni in carriera degli ufficiali già P.A.I..

Nella P.S.

Repliche P.A.I. alla Festa della Polizia del 2003. Roma, Piazza del Popolo (Foto Ufficio Storico Polizia di Stato). Gli anni 2000 riscoprono la P.A.I. con alcune pubblicazioni. Nella Festa della Polizia, gli agenti P.A.I. sfilano con le guardie di P.S. dell’Ottocento e del Novecento. I Caduti P.A.I. sono ricordati nel Sacrario della Polizia di Stato ( Roma, Scuola Superiore di Polizia, via Pier della Francesca).

Al termine della II guerra mondiale sul Corpo di Polizia dell’Africa italiana si abbatteva una campagna di stampa che l’appellava “ente inutile” aderente al “passato regime”. La “sragionevolezza” di queste osservazioni è ascrivibile all’esasperato clima politico del tempo e alla velocità con la quale l’Italia voleva “sbarazzarsi” dell’esperienza coloniale, e di superare le Istituzioni filiazione del Fascismo. Alle condizioni geopolitiche internazionali si ascrive la decisione di sopprimere la P.A.I. (1945) ma, se il trascorso della Polizia coloniale, il suo valore espresso nella II Guerra Mondiale, nella Guerra di Liberazione, e nei servizi di polizia sia nelle colonie che in Patria fossero stati protetti dalle urgenze della politica e dell’ideologia, dell’Istituzione sarebbe rimasto in vita quantomeno un aspetto: la sua memoria. Ma a nulla valeva che il Corpo delle Guardie di P.S. ereditava della P.A.I. uomini, mezzi e compiti di polizia… coloniale. Infatti scomparsa la P.A.I. i suoi uomini, in un nuovo impegno “sub lege libertas“, continuavano ad operare in Somalia ed Eritrea per alcuni anni sia sotto le autorità inglesi, sia sotto mandato internazionale ONU. Infatti la comunità internazionale chiedeva  all’Italia di “accompagnare” le ex colonie verso una forma di stato democratico e moderno, compito che vedeva anche le Forze di Polizia italiane rimanere o raggiungere quelle terre per garantire  i rispettivi e tradizionali compiti istituzionali  e per la formazione degli uomini delle istituzioni locali. Di conseguenza, le guardie di p.s. inviate in Africa ( e ancor più quelle già presenti nel dopoguerra)  erano  “paini”; nei  fatti, nel dopoguerra la P.A.I. nella P.S. era (implicitamente) rivalutata e considerata sotto un nuovo aspetto. L’Istituzione superava l’originaria funzione motivo della sua costituzione (il colonialismo fascista e l’Africa italiana) per proiettarsi in un clima radicalmente nuovo, la cooperazione internazionale. Malgrado le nuove condizioni  internazionali, ai “paini” nella “giubba” del Corpo delle Guardie di P.S., era praticamente vietato ricordare le loro origini e trascorsi, sebbene i più importanti incarichi di Corpo e di Reparto nel Corpo di P.S. erano ricoperti da Ufficiali ex P.A.I.; inesistente qualsiasi forma di rielaborazione dei lutti e trionfi dell’istituzione coloniale, il nome del loro Comandante Generale P.A.I. Riccardo MARAFFA, deceduto nella deportazione in Germania, non risultava nel sacrario dei Caduti, assenti anche altri nomi di caduti P.A.I..

La “pressione “ esercitata sulle memorie dei reduci P.A.I. fu vasta ed efficace, perdurava fino a quando erano in vita i soli che avrebbero potuto “risorgerla”: i reduci ufficiali e agenti del Corpo di polizia coloniale.

Sul piano individuale, fino ai primissimi anni ‘80, quando gli ultimissimi ex P.A.I. si incontravano in servizio e si riconoscevano, rivivevano momenti di intensi ricordi e forse di rammarico, per non poter dar vita ai meccanismi di rielaborazione di un passato comune, intenso, vissuto in terre lontane ed incompreso.

Sul piano istituzionale, quelle rare volte che si dichiarava l’acronimo P.A.I., era per i necrologi o saluti di commiato che Poliziamoderna riservava agli ex ufficiali coloniali.  

La Guardia Sterpetti Amerigo

L’”ordine” di tacere l’istituzione, trova un suo effetto visibile ancora oggi nella cartolina commemorativa della Guardia Sterpetti Amerigo, della serie “Atti Eroici del Corpo delle Guardie di P.S” commissionata dalla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza al noto PISANI. Il capoarma P.A.I. STERPETTI del Battaglione P.A.I. Luigi Amedeo di Savoia, cadeva durante gli scontri della Magliana - Ostiense tra italiani e tedeschi il 9 settembre ‘43, meritando una medaglia d’argento al valor militare “alla memoria“. 

Considerazioni iconografiche

“Atti eroici” del Pisani

Il P.A.I. è raffigurato con una mitragliatrice FIAT in azione contro più soldati germanici con fucile e baionetta innestata, tutti in posizione dinamica. La tipicità della scena ambientata in zona rurale, le armi in azione suggeriscono un’immagine tipica della Prima guerra mondiale: l’assalto alla trincea. Anziché nella sahariana cachi, il P.A.I. veste il “battle-dress”, giubbino grigioverde corto alla vita, estraneo fino a quel momento alle forze italiane e in uso ai soli inglesi. Quella giubba era vestita dalle unità nazionali inquadrate con gli alleati, costituite successivamente quel settembre ’43. Il corpo delle guardie di P.S. continuò ad adottare ancora il battle-dress dopo il ’45, circostanze che PISANI non poteva non conoscere, come testimoniato dall’opera complessiva dell’artista e dal rigore uniformologico delle altre cartoline degli Atti Eroici. Inoltre, Sterpetti era capoarma di una moderna Breda; si raffigura un “inganno uniformologico e di dotazioni militari” del quale è possibile intuirne lo scopo.

Da ultimo, la motivazione della decorazione integralmente riportata al verso della cartolina omette di indicare il Corpo di appartenenza del caduto limitandosi a riportare il grado. Se è legittimo ricondurre quell’atto eroico alla Corpo delle guardie di P.S. perché la memoria e la tradizione della Polizia coloniale confluì in esso (circostanza implicita nella dizione formulata nella serie di cartoline), l’evento nelle componenti figurative è interpretato e mutilato di ogni riferimento all’istituzione coloniale. La raffigurazione veicola un significato radicato tra gli Italiani negli anni ’50, e che esprime un forte   risentimento verso i militari tedeschi. Richiamare quell’atteggiamento condiviso presumibilmente cerca di “superare” l’interpretazione dell’evento. Anche la dizione al retro difetta, rispetto al D.P.R. concessivo la decorazione, della dizione “P.A.I.” 

Nel retro è assente la dizione P.A.I.

Guardia con il battle dress , 1948.

(per la redazione di Cadutipolizia.it Quintavalli Giulio)

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