Il delegato di pubblica sicurezza di Chivasso (Torino)
1864 
È qui riportato un capitolo  del libro di Milo Julini “Fomne danà. Delitti al femminile in Piemonte. 1848-1868”, Torino 2000.

Descrive una fortunata indagine di polizia di metà Ottocento, fortunata perché oltre che all’arresto di un colpevole porta anche al recupero di parte della refurtiva (aspetto mai trascurabile ma che all’epoca assumeva un particolare significato, visto le condizioni di diffusa povertà). Le indagini sono condotte dal delegato di Chivasso, del quale purtroppo non conosciamo il nome.

Il delegato, figura oggi non più esistente, costituiva  il funzionario di grado più basso nella gerarchia della Amministrazione di PS. Il delegato che operava nelle sedi periferiche come i comuni rappresentava il vero eroe e il martire della Amministrazione di PS. Dal racconto affiorano le difficoltà di lavoro per questi delegati, causate delle carenze istituzionali che li costringevano a gestire completamente da soli un ufficio, senza collaboratori ed impiegati, in una problematica coabitazione con la autosufficiente caserma dei carabinieri.

Grazie, zia!

Il carrettiere Martino Ferrero

Il 26 agosto 1864 il carrettiere Martino Ferrero presenta al giudice di Rivarolo Canavese la seguente querela: «Nel mattino del 19 agosto, verso le ore due e mezza, io conducevo un carro carico di cuoio e pelli che la vedova Fenoglio, proprietaria di una conceria in questo luogo, mi aveva consegnato per portarla al negoziante Bocca,  a Torino, dietro il Palazzo di Città. Giunto vicino al ponte che si trova tra Leynì e la salita detta del Timullino, sono stato fermato da tre sconosciuti, i quali mi intimarono di consegnare loro il denaro e avendo io risposto che non ne avevo, uno di loro disse: - Se non hai denaro prenderemo del cuoio.

Intanto un altro mi frugò nelle tasche e mi prese tutto il denaro che possedevo, consistente in lire 6 e 30 centesimi. Gli altri due salirono sul carrettone e presero ventitré pelli dette vacchette. Quindi mi dissero di continuare il mio viaggio. Per l’oscurità della notte non ho potuto discernere i connotati di detti individui, ho soltanto osservato che uno era della statura di un metro e settanta centimetri circa, gli altri due erano più piccoli. Il più alto e un suo compagno portavano in capo un cappello oscuro alla pouff, e l’altro aveva un berretto che non saprei descrivere. Erano poi tutti travestiti con pantaloni e giacca di colore scuro. Né prima né dopo l’incontro di detti malfattori non trovai nessuna persona, ed io continuai il mio viaggio sino a Torino, dove appena giunto lasciai il carro all’albergo del Campanile ed andai subito a denunciare il fatto all’ispettore di pubblica sicurezza della Sezione Borgo Dora. Non sono in grado di poter precisare il valore delle pelli, né di riconoscere i grassatori, quand’anche li rivedessi».

Antonia Zani

Il derubato Ferrero dice di non riconoscere i tre che lo hanno aggredito e sembra difficile che la giustizia riesca a trovarli. Nossignori, alcuni malfattori sono facilmente scoperti dal delegato di pubblica sicurezza di Chivasso, fin dal giorno seguente alla rapina.

Il funzionario di polizia, in un rapporto al giudice locale, così narra la sua scoperta: «Questa mattina (20 agosto 1864) si presentò a me il calzolaio Crispino Goggio facendomi la segnalazione di aver comperato da certa Antonia Zani otto pelli di vacchetta del peso complessivo di 22 chilogrammi al prezzo di lire 2,50 al kg per un totale di lire 55, di cui lire 50 in contanti e le restanti lire 5 pagate con un paio di scarpe. Quando la Zani ha ritirato il denaro e il Goggio si avviava giù per la scala, quella lo ha pregato di passare per il viottolo di dietro e non per la strada maestra. Tale precauzione, unita al basso prezzo,  ha fatto nascere nel Goggio il sospetto che le pelli fossero di furtiva provenienza, per cui ha creduto suo dovere di venire subito a fare la consegna.

Dietro tale dichiarazione, - prosegue il rapporto del delegato - accompagnato dalle guardie comunali Vestinaggio e Bertello, mi sono recato alla abitazione della Zani che ho trovato sulla porta della sua camera. Interrogata sulla provenienza delle pelli mi rispose esserle state portate per venderle da due individui di cui essa ignorava il nome e la patria; ma che mi avrebbe condotto da essi. Interrogata se ritenesse ancora qualche pelle in casa, rispose negativamente ed intanto si affrettava a chiudere l’uscio e discendere le scale, invitandomi a seguirla fino all’Albergo dell’Angelo, tenuto dalla vedova Torreani, dove aggiungeva si trovavano pelli simili a quelle vendute e esse pure di proprietà dei medesimi individui.

Ma avendo osservato nella donna troppa premura di allontanarmi dalla sua camera, la invitai ad aprirmi l’uscio e ciò eseguito, dalla soglia, il primo oggetto che vidi fu appunto un involto di pelli. La donna allora rimase alquanto perplessa, ma ad un tratto raccolte le sue facoltà, simulando un contegno disinvolto come chi ha nulla da temere, disse: Andiamo all’Albergo dell’Angelo e ivi se la intenderà coi proprietari. Frattanto numerate le pelli, che erano otto, vennero le medesime trasportate dalle guardie nel mio ufficio. Come pervenne all’Albergo dell’Angelo, la Zani interrogò essa stessa la padrona e lo stalliere, chiedendo loro dove si trovavano i due individui che nel mattino avevano condotto su di un carretto delle pelli; le risposero che nessuno era venuto né con pelli, né senza. Dal contegno assai confuso della Zani mi avvidi che cercava di farmi perdere le tracce del reato.

La invitai perciò a seguirmi nel mio ufficio, dove la minacciai dell’arresto, se si ostinava ancora a tenermi nascosti i nomi del proprietari delle pelli, ed essa soggiunse che se la lasciavo in libertà, me li avrebbe indicati. Io le osservai che non potevo più fidarmi di lei, e che era mio dovere di farla tradurre in carcere come complice, dicendole in pari tempo che dal carcere non sarebbe poi uscita così facilmente anche col dire i nomi richiesti. Sulla mia formale promessa che non l’avrei tenuta in prigione, mi disse che quelle pelli erano di suo nipote Pietro Zani da Brandizzo e di Giuseppe Tarditi, detto Pinòt da Candia e che questi si trovavano presso un certo Garabello, ex guardiano delle carceri, il quale dà alloggio e vitto ad alcuni operai che lavorano al canale Cavour.

Lasciai la Zani in libertà e mi diressi alla casa del Garabello, facendo subito avvertire il comandante della caserma dei carabinieri che là mi raggiungesse. Da questo comandante fui allora informato della grassazione subita dal carrettiere di madama Fenoglio. Entrati io e i carabinieri nell’abitazione del Garabello trovammo soltanto sua moglie, la quale ci disse che le persone da noi cercate erano partite poco prima per il campo di San Maurizio; che Pietro Zani le aveva chiesto cinque lire in prestito, anche se era già debitore ai Garabello di cinquanta lire per vitto e alloggio.

Siccome mancavano ancora cinque pelli, così perquisimmo la casa, ma senza risultato. Il contegno e le risposte della Garabello indicavano troppo chiaramente che essa non ignorava il motivo della perquisizione. Avuto il nome e i connotati dei supposti rapinatori che corrispondevano pressappoco a quelli indicati dal derubato, il maresciallo e due carabinieri partirono subito sulle loro tracce, ma senza utile risultato, poiché seppi poi che Zani e Tarditi, subito dopo la partenza dei carabinieri, entrarono nella casa del Garabello, e preso un involto, si diedero alla fuga per i campi», così termina il rapporto del delegato di pubblica sicurezza di Chivasso.

Pietro Zani

Malgrado la sua fuga, Pietro Zani non tarda a essere arrestato, il 27 agosto. Tarditi fugge all’estero.

Pietro Zani, interrogato sulla grassazione, nega di esserne stato l’autore.

Domanda -  Non vi ricordate che voi e Tarditi portaste pelli in casa di vostra zia Antonia?

Risposta - Non mi ricordo, perché non ho portato alcuna pelle in casa di  mia zia.

Dom. - È vostra zia stessa che afferma ciò. Come osate negare?

Risp. - Se mia zia afferma ciò, lo dice per farmi dispetto.

Dom. - Qual causa può avere vostra zia per farvi dispetto?

Risp. - Non lo so; devo però dire che quasi tutti i giorni lei andava presso i coniugi Garabello a dire male di me, senza che io ne conosca la ragione.

Dom. - Nel giorno 20 agosto, quando si eseguì la perquisizione in casa di vostra zia e si sequestrarono le pelli, voi e Tarditi non ne foste avvertiti? Per cui non vi siete allontanati da Chivasso, facendovi imprestare dalla Garabello cinque lire?

Risp. - Nossignore: né venni avvertito della perquisizione né mi feci imprestare lo scudo. Se avessi saputo che si cercava di me, mi sarei subito presentato per giustificarmi.

Il 20 gennaio 1865, è arrestata anche Antonia Zani, di sessantasette anni, sotto l’accusa di essere la ricettatrice delle pelli rubate. Zia e nipote compaiono nell’ottobre 1865 davanti alla Corte di Assise di Torino e la cronaca del processo appare sulla Gazzetta di Torino il 21 ottobre 1865. Antonia Zani, che appare come una vecchia cadente, ripete quello che ha già detto al delegato di pubblica sicurezza di Chivasso. Il nipote non può contraddirla e, inaspettatamente, confessa la sua colpa, anche se cerca di attenuarla: sostiene di avere commesso semplicemente un furto, non una grassazione, perché non avrebbe fermato il Ferrero, ma quando lo ha visto passare col carretto carico di pellame, senza dir nulla, si è appropriato di alcune pelli, dandosi poi alla fuga. L’avvocato Giovanni Rodellono, sostituto dell’Avvocato dei poveri, lo segue su questa strada, mentre l’avvocato Bonacci difende la vecchia zia.  Il cavalier Rossi, sostituto procuratore generale, sostiene l’accusa come Pubblico Ministero.  In base al verdetto dei giurati, la Corte condanna Pietro Zani a dieci anni di reclusione e Antonia Zani a tre anni di carcere.

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